Il caso Cospito? Non esiste. Nessuno azzarda più neppure un dubbio sull’opportunità di sospendere il regime di 41 bis, da Meloni a Conte passando per Salvini e Serracchiani. Nessuna differenza tra maggioranza e opposizione. Problemi sull’articolo che a suo tempo il Pds di Achille Occhetto non votò e che il duro del Pci Ugo Pecchioli definiva «gravissimo»? Non ce ne sono. Se su Cospito l’unanimità è salda, sull’articolo in generale è granitica.

Per la politica il caso è chiuso: restano aperti strascichi che riguardano esclusivamente le ginocchiate con cui i partiti si confrontano, ormai guardando solo alle elezioni di fine settimana. Dunque da un lato il caso Delmastro-Donzelli, che la sinistra si sforza di tenere vivo e che ha un fondamento reale, dall’altro lo “scandalo” della visita della delegazione del Pd nel carcere di Sassari. Lì di fondamento reale non c’è neppure l’ombra però, complice un Pd tutto sulla difensiva, rischia di arrivare all’opinione pubblica e agli elettori con ben maggiore impatto.
SU DELMASTRO SONO state presentate a Montecitorio due mozioni di censura che chiedono la revoca dell’incarico, una dal M5S, l’altra in tandem dal Pd e Asv, ma potrebbe arrivare una mozione unitaria delle opposizioni. «Il 41 bis, l’ergastolo ostativo e le intercettazioni non si toccano. La decisione su Cospito spetta alle autorità competenti. Noi siamo pronti ad abbassare i toni ma la presidente Meloni deve invitare i suoi due fedelissimi a dimettersi», spiega Conte e riesce a sintetizzare perfettamente lo stato delle cose. Sulla sostanza della vicenda il sentire è identico: il resto è materiale da rissa mediatica.

Che la mozione venga approvata è impossibile anche se il disagio di Lega e Fi è evidente. Salvini insiste nel ripetere, salomonico, che tutti devono abbassare i toni e oltre non va. Berlusconi segnala che il partito azzurro è stato «alla larga dalle polemiche». Tradotto suona come rivendicare la non partecipazione alla sgangherata aggressione di Donzelli. Ma alla resa dei conti né il Caroccio né Arcore possono votare una mozione che segnerebbe la fine della maggioranza e del governo.

Non significa che l’incidente sia destinato a passare senza lasciare tracce. L’irritazione del Cavaliere è reale e profonda, anche perché la vicenda, i toni usati dai due meloniani, la completa sottomissione del guardasigilli non sono certo un buon auspicio né per la riforma della giustizia, a cui Berlusconi tiene molto, né per il suo peso nelle scelte future della maggioranza, a cui tiene moltissimo. Ma è una incrinatura che si trasformerà in qualcosa di più, forse, solo nei prossimi mesi.
A MODIFICARE UN QUADRO che altrimenti sembra definito possono essere solo le inchieste: quella parlamentare del Giurì d’onore della Camera e quella giudiziaria della Procura di Roma, a cui ieri sono stati consegnati dai Gom tutti i fascicoli riguardanti le conversazioni tra Cospito e altri detenuti riportate parola per parola da Donzelli in aula. Per ora i magistrati di Roma, attivatisi dopo l’esposto del leader verde Bonelli, si concentrano sulla natura specifica di quel monitoraggio. I tempi non saranno fulminei. Ma è evidente che una censura esplicita del Giurì o il ravvisamento di estremi di reato da parte della procura renderebbero la situazione dei due pupilli di Meloni molto più pericolante.

Al momento però a incassare è solo la premier. Lo dicono i sondaggi che registrano un tripudio giustizialista, un peana al carcere duro e magari fosse anche più duro, modello Guantanamo, i cui dividendi finiranno quasi tutti nei forzieri di FdI.