È stato il sottosegretario Alfredo Mantovano a presentarsi ieri in audizione davanti alla Commissione parlamentare Antimafia. L’audizione era stata chiesta dall’opposizione dopo l’esposto sui flussi migratori che la pemier, il 4 giugno scorso, aveva presentato alla procura nazionale guidata da Giovanni Melillo.

«So che la richiesta generale della Commissione era ascoltare la presidente del consiglio – esordisce Mantovano – ma nella scelta tra attendere ancora e fornire un’informazione tempestiva, con la presidenza della Commissione abbiamo concordato questa seconda opzione come la più adeguata». Meloni è in Cina per un viaggio istituzionale ma la seduta non è stata rinviata anche per sfruttare i tempi serrati del calendario prefestivo delle Camere che non avrebbero consentito un dibattito adeguato.

Come effettivamente è stato. L’audizione è stata sospesa per impegni di Aula e rinviata a data da destinarsi. C’è stato solo il tempo per la relazione del sottosegretario, ma non per le domande da parte dei commissari. Il centrosinistra ha accolto la proposta di rinvio rimarcando, però, l’assenza della premier: «È stata la presidente Meloni a presentare brevi manu l’esposto. Nel momento in cui ha voluto dare quella visibilità e impatto al gesto del governo – ha spiegato il senatore del Pd Valter Verini – riteniamo che la stessa presidente debba venire in commissione Antimafia, ribadiamo la richiesta della sua presenza».

L’iniziativa di Meloni aveva ricevuto critiche nel merito e nel metodo. I dati riportati sulle infiltrazioni della criminalità nel meccanismo dei flussi migratori erano noti da tempo a chi si occupa, a vario titolo, delle storture create dalla Bossi Fini. Ma particolarmente bizzarro era anche lo strumento dell’esposto alla Procura nazionale Antimafia, che non ha poteri investigativi, da parte di un presidente del Consiglio che dovrebbe conoscerne i meccanismi. Il sottosegretario non elude la questione ma la capovolge: «C’è chi ha osservato una sorta di sgrammaticatura istituzionale – ammette – ma la procura nazionale antimafia ha funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali per rendere effettivo il coordinamento dell’attività di indagine». Di conseguenza per il governo, «non era fuori luogo rivolgersi a Melillo».

Secondo Mantovano anzi, l’esposto ha avuto dei meriti. A esso è dovuta, secondo il governo, «l’accelerazione delle indagini» sulle frodi negli ingressi in Italia con il decreto flussi. «Non vogliamo sostituirci al lavoro della polizia giudiziaria o dell’autorità giudiziaria, ma abbiamo fornito un primo quadro di insieme, utile per rimuovere le cause del fenomeno». Le distorsioni nel sistema migratorio italiano hanno origine in massima parte nella Bossi – Fini che aveva peggiorato il Testo unico del 1998, condannando i cittadini di origine straniera a essere irregolari, ma non sarà quella legge ad essere rivista.

Piuttosto, come aveva già annunciato Meloni qualche settimana fa, sarà modificato il Testo unico per renderlo ancora più aderente ai principi che hanno ispirato la contesta legge che porta il nome degli allora esponenti di Lega e Alleanza Nazionale (partito in cui militava Meloni prima di fondare il suo). «Tanti governi hanno annunciato cambiamenti senza poi dar seguito ai propositi. Noi – ha assicurato il sottosegretario – lo faremo puntando a modificare, sia sul piano amministrativo che normativo, gli atti che hanno portato alle storture in modo da consentire l’ingresso solo a chi ha la certificata prospettiva di lavorare». Per il governo di destra si tratta di un «dovere» ma non rispetto alla condizioni lavorative dei migranti. Ma quello di «fermare e di correggere», i presunti ingressi irregolari, «così come abbiamo fatto con il superbonus edilizio ed il reddito di cittadinanza».