La dedica finale è a Budd Boetticher, il suo riferimento, il cavaliere solitario, anzi il torero che quando gli chiedevano – nel bel libro che accompagnò la retrospettiva al Torino film festival curata da Giulia D’Agnolo Vallan nel 2001 – cosa c’era di diverso nei suoi western, rispondeva: «Tutte le cose che si vedono le faccio, le so fare, so che sono possibili … Non molti registi a quell’epoca avevano la stessa libertà, ma io ero un torero e al di là del toro non c’è niente che mi faccia paura».

E IN Dead for a Dollar, il suo nuovo film, fuori concorso, Walter Hill questa libertà non l’ha persa come non ha perduto il piacere del fare cinema e di giocarci anche se ha più di ottant’anni e soprattutto tantissimo è cambiato, il cinema per primo da quando ha realizzato film come I Guerrieri della notte (1979). Dead for a Dollar – presentato in occasione del premio Cartier consegnato ieri al regista – è un western che valica il confine dell’America per arrivare in Messico – laddove Boetticher viveva e ha ambientato capolavori come The Bullfighter and the Lady – partendo dalla sfida più classica: un uomo, Joe Cribbens (Willem Dafoe) texano giocatore incallito e rapinatore di banche sta per uscire di prigione e viene avvertito da chi che ce lo ha spedito, il cacciatore di taglie Max Borlund (Christoph Waltz) di non farsi vedere mai più da lui che lo ha arrestato ma gli ha risparmiato la vita. Il «caso», naturalmente, li farà incontrare prima di quanto si aspettano.

Walter Hill
Forse sono nostalgico di quel periodo della storia americana, ma l’idea mitica e poetica del western viene compresa da tutti i Paesi Borlund viene incaricato da un uomo d’affari con ambizioni politiche di ritrovare sua moglie Rachel (Rachel Bosnahan) rapita da un soldato afroamericano. A aiutarlo c’è un altro soldato afroamericano, tra gli ex-schiavi arruolati nei territori più pericolosi, migliore amico del fuggitivo che porta il cacciatore di là dal confine messicano con la mappa che l’altro gli ha dato. Un tradimento? O un maldestro tentativo di evitare il peggio? Le cose però sono un po’ più complicate di così, forse la donna non è stata rapita, forse il marito non è quella «brava persona» che dice di essere. In quella terra messicana dove arrivano c’è un tipo che controlla tutto, temutissimo e sanguinario padrone di ogni ricchezza, e c’è pure Cribbens con le sue carte: non resta che aspettare lo scontro finale.
La sfida di Hill è dunque fare un western oggi utilizzando le nuove tecnologie e i nuovi mezzi di ripresa come i droni, e nella scrittura i «codici» di inclusione e parità che sono nella «nuova Hollywood» di oggi; ecco allora una figura femminile come quella di Rachel che spara e rivendica la propria indipendenza, o i soldati afroamericani mai presenti nel western classico. Potrebbe essere un impaccio ma Hill sa coglierne quanto appartiene alla storia (del cinema) e li rende perfettamente funzionali nella sua sceneggiatura in cui circolano con grande fluidità, umorismo e consapevolezza dei propri mezzi (è stato girato in un mese) e della propria materia.

HILL È SEMPRE stato e continua a essere un regista politico che non dipende dalle storie che sceglie ma dal loro meccanismo, da come i generi e la «macchina dell’immaginario» sono modulati per liberare lo sguardo, non per rinchiuderlo dentro degli schemi. In questo paesaggio mutato e insieme archetipico, Hill lascia indietro il mito per avventurarsi in un universo senza più pretese di innocenza, governato da speculazioni senza scrupoli, affari coi criminali, sfruttamento delle terre, una classe politica pronta a tutto per ottenere il potere, le imprese europee che arrivano e fanno affari con la criminalità, i media che appoggiano le bugie. Quasi che tipi come il personaggio di Waltz e per certi aspetti di Dafoe (un duetto fantastico) – che rimandano ciascuno alla sua maniera, a quell’irriducibilità che è uno dei temi del suo cinema – siano ormai impossibili. C’è un po’ di malinconia? Si ce ne è. Ma c’è anche quel sentimento indocile che ne caratterizza il lavoro, che gli permette di reinventare come ha sempre fatto il genere portandoci dentro la contemporaneità e pure un po’ di sé nelle difficoltà di un cinema (come è il suo) che fatica a trovare spazi nel sistema attuale.

NEGLI IMPASTI gialli di ocra del sole che acceca e dei cavalli che corrono, laddove ormai tutto si compra e tutto è in vendita basta anche un dollaro per morire, Dead for a Dollar – Hill costruisce la sua epopea che rintraccia i paradossi della narrazione dell’America e con un certo umorismo anche quelli di un presente, di un capitalismo che è fuori dal tempo la cui sola preoccupazione è donare un’etichetta all’immaginario. Il suo cacciatore di taglie Waltz è una voce critica, provocatoria, un solitario con la morale di chi ha deciso di rimanere indipendente: «Lavoro per me stesso» replica al padrone capitalista. Proprio come Walter Hill.