Dopo che nei giorni scorsi la premier Giorgia Meloni lo aveva dato praticamente per fatto, del Memorandum di intesa dell’Unione europea con la Tunisia su migranti ed energia si sono perse le tracce. Nelle intenzioni di Bruxelles, ma anche di Roma, la firma ufficiale si sarebbe dovuta tenere prima del consiglio europeo del 29 giugno, ma è slittata ritardando così anche lo stanziamento dei primi 150 milioni di euro (su un totale di 900) destinati dalla Ue al paese nordafricano.

Ufficialmente perché la Tunisia era impegnata nel celebrare la Festa del Sacrificio, ma si era capito che da parte almeno di Tunisi si stava facendo resistenza. «C’è da discutere ancora un po’» aveva ammesso una fonte dell’Ue. Poi, tre giorni fa, un portavoce della Commissione aveva spiegato l’ennesimo ritardo: «Abbiamo chiarito diverse volte la dimensione collegata ai diritti umani».

Evidentemente nessuno deve avere avvertito il presidente tunisino Kais Saied della discussione. Da giorni, infatti, a Sfax, principale punto di imbarco dei disperati diretti in Italia, è in corso una caccia al migrante «nero» che vede la popolazione locale prendere d’assalto i rifugi dei migranti subsahariani senza risparmiare bambini e donne incinte. Chi ha potuto è fuggito in treno a Tunisi in cerca di salvezza, molti altri sono finiti nelle mani dell’esercito tunisino che a bordo di camion li ha deportati verso il confine con la Libia e, stando alle testimonianze raccolte, abbandonati nel deserto senza cibo né acqua.

Violenze che (si spera) mettono ora in imbarazzo l’Unione europea e palazzo Chigi, principale sponsor dell’intesa con Saied per fermare i migranti tanto che proprio Meloni si è recata in Tunisia con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il premier olandese Mark Rutte per sostenere un Memorandum che oggi potrebbe trasformarsi in un flop: un annuncio di qualcosa che non si realizza e che rischia di mandare in frantumi, almeno temporaneamente, tutte le parole d’ordine con cui la destra giustifica le sue politiche per fermare i migranti: dalla difesa dei confini esterni della Ue agli investimenti nei Paesi di origine perché anche gli africani «hanno il diritto a non emigrare». Si vedrà, poi, quanto von der Leyen e Rutte saranno contenti di aver messo la faccia su un accordo con un dittatore che non si fa scrupolo di deportare uomini, donne e bambini.

Nel frattempo la Tunisia rischia davvero si crollare, sia dal punto di vista economico che sociale. Il vicepresidente della Commissione Ue Dombrovskys è appena tornato da Washington dove, tra gli altri, ha visto la direttrice del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva con la quale avrebbe parlato anche del prestito da 1.9 miliardi di dollari che permetterebbe alla Tunisia di respirare. Il problema è che le riforme economiche chieste dal Fmi per aprire i cordoni della borsa prevedono l’abolizione dei sussidi per pane e benzina, il taglio drastico dei dipendenti pubblici e la vendita delle aziende statali, tutte misure che potrebbero scatenare una rivolta popolare, motivo per cui Saied continua da otto mesi a rifiutarle.

Quanto accade in Tunisia potrebbe infine rendere più complicato il viaggio che tra pochi giorni Meloni farà negli Stati uniti dove incontrerà Joe Biden. E’ molto probabile che la premier proverà a convincere il presidente a intervenire con il Fmi per sbloccare almeno una parte dei finanziamenti previsti, come vuole il piano al quale da mesi sta lavorando il ministro degli Esteri Tajani e che prevede tranche di soldi mano a mano che le riforme vengono approvate. Missione che se prima si poteva considerare difficile, con la caccia al migrante in corso in Tunisia diventa quasi impossibile.