Ci sono le mail che dimostrerebbero come a ordinare alla ong spagnola Open Arms di sbarcare a Pozzallo i migranti che aveva tratto in salvo sarebbe stata la Guardia costiera di Roma, che coordinava i soccorsi. Così come ci sono le registrazioni sempre tra il centro di controllo marittimo di Roma e la nave Open Arms che dimostrano la richiesta di intervenire in soccorso di un gommone in difficoltà in acque internazionali. E infine c’è un video, che definire eloquente è dir poco, che testimonia senza ombra di dubbio le minacce rivolte dall’equipaggio di una motovedetta libica ai volontari della Open Arms. «Si fatica a trovare un fondamento per la contestazione del reato di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» ha spiegato ieri l’avvocato Gaetano Mario Pasqualino, uno dei legali che assistono la Proactiva Open Arms dal momento in cui la nave della ong, dopo essere approdata a Pozzallo, è stata posta sotto sequestro dalla procura di Catania che ha anche indagato il comandante, Marc Reig e la capomissione Anabel Montes. «Quello del sequestro della nave è forse il caso più inquietante dall’inizio delle operazioni di discredito contro le ong che compiono salvataggi in mare sopperendo alle carenze degli Stati», ha proseguito il legale.

Come operano, le pressioni e le continue minacce che i volontari impegnati nel Mediterraneo sono costretti a subire è ben documentato nel video fatto circolare dalla ong spagnola. Pochi minuti nei quali si vedono le lance della Open Arms con già a bordo le donne e i bambini avvicinate dalla motovedetta libica che pretende che gli vengano consegnati i migranti tratti in salvo. Momenti concitati durante i quali dall’imbarcazione di Tripoli vengono rivolte pesanti minacce ai volontari: «Avete tre minuti per darci i migranti o vi uccido», urla un militare. E ancora: «Avete trenta secondi o vi uccido». A bordo delle lance donne e bambini seguono quanto accade con sguardi pieni di paura mentre i volontari cercano di prendere tempo e si rifiutano di obbedire agli ordine della Guardia costiera di Tripoli.

E’ il modello libico di ricerca e soccorso dei migranti, quello che l’Italia e l’Europa preferiscono far finta di non vedere. Con in più il fatto, non secondario, che la Libia non possiede una propria area Sar (ricerca e salvataggio) né può considerarsi un porto sicuro dove trasferire in migranti tratti in salvo come impone invece il diritto internazionale. Come non ha mancato di sottolineare l’avvocato Pasqualino nel contestare le accuse mosse alla ong dalla procura di Catania. ««Una zona Sar libica non risulta negli atti ufficiali delle organizzazioni internazionali», ha spiegato il legale. Per quanto riguarda poi un’altra delle accuse rivolte dai magistrati siciliani alla Proactiva, ovvero quella di non aver fatto sbarcare i migranti a Malta, porto più vicino al punto dell’avvenuto soccorso, il legale per il legale sarebbero mancate le condizioni per farlo: «I maltesi dopo aver aiutato l’equipaggio della Open Arms nelle complicatissime operazioni di soccorso della bambina di appena tre mesi che versava in pericolo di vita, non avevano dichiarato la propria disponibilità né avevano ricevuto la richiesta della Spagna» ad aprire un proprio porto. Richiesta che in seguito è stata invece accettata dall’Italia.

La scorsa estate la procura di Catania ha reso nota di aver avviato una clamorosa inchiesta sulle ong attive nel Mediterraneo centrale ipotizzando presunti contatti tra i volontari che salvavano i migranti e i trafficanti di uomini. Inchiesta che finora però sembra di fatto essersi arenata. Adesso le nuove, pesantissime contestazioni alla ong spagnola.

Sulla vicenda della Open Arms il neo deputato di +Europa e segretario di Radicali italiani Riccardo Magi ha annunciato di voler presentare un’interrogazione parlamentare ai ministri degli Interni e degli Esteri nella prima seduta della Camera. Nel frattempo le accuse alla ong spagnola, e il sequestro di una delle sue navi, riduce al minimo il numero delle ong impegnate nei salvataggi. L’allarme arriva da Sos Mediterranee, ormai rimasta sola a operare nel Mediterraneo: «Dopo un inverno in mare, la Aquarius torna nelle acque internazionali. Sarà l’unica nave di una ong ancora nella zona. Compromettere le operazioni di soccorso – conclude la ong – equivale a mettere in pericolo le vite dei migranti».