Venerdì sera, mentre stava passeggiando per il centro di Copenaghen, la premier socialdemocratica danese Mette Frederiksen è stata aggredita e buttata a terra. L’autore dell’aggressione è un uomo bianco di 39 anni che è già stato interrogato dalla magistratura ieri mattina. Le autorità hanno però ritenuto di non fornire, per ora, informazioni sulla sua identità per «non comprometterne l’incolumità» specificando che non vi sarebbero motivazioni politiche dietro al gesto del 39enne.

La premier danese, caduta a terra, è stata successivamente raggiunta dalla scorta che non si trovava al suo fianco al momento dell’aggressione. La leader socialdemocratica ha annullato gli ultimi eventi di campagna elettorale previsti accusando un «colpo di frusta» al collo. Questa aggressione è solo l’ultima registrata in Europa in questi mesi di campagna per il rinnovo del parlamento di Bruxelles. Particolarmente calda la situazione in Germania con varie aggressioni a politici e deputati di destra e di sinistra e in Slovacchia dove il premier Fico è stato ferito gravemente.

Secondo gli ultimi sondaggi la premier danese dovrebbe ancora garantire il primo posto al suo partito, i socialdemocratici, stimati intorno al 20% ma in calo rispetto alle politiche di due anni fa. La leader scandinava ha, in questo secondo mandato, formato un governo con i soli “moderati” e i liberali di “Venstre” e l’astensione del cosiddetto “blocco rosso” (i partiti della sinistra).

In questi due anni il governo Frederiksen si è caratterizzato per un sostegno attivo alla causa ucraina inviando tutta la propria artiglieria in aiuto a Kyiv e proponendo il ritorno alla leva obbligatoria per i maggiorenni danesi «per la situazione che si è creata con la Federazione russa».

A differenza di altri paesi scandinavi, come la Norvegia, la Danimarca ha deciso di non riconoscere lo stato palestinese nonostante le mobilitazioni per l’immediato cessate il fuoco a Gaza che attraversano tutte le settimane il centro di Copenaghen e molte altre città della penisola. Proprio il sostegno al governo israeliano portato avanti dal ministro degli esteri, il “moderato” Lars Løkke Rasmussen, è stato oggetto di pesanti critiche dall’ala più di sinistra della socialdemocrazia. L’ex ministro degli esteri Mogens Lykketoft ha parlato apertamente di “genocidio” riferendosi all’aggressione israeliana a Gaza, criticando pesantemente la premier e la politica estera del governo.

Se le piazze danesi sono da mesi attraversate dai colori della Palestina la campagna elettorale conclusasi con l’aggressione a Frederiksen si è concentrata su due diverse polarità. Mentre a sinistra, sia i rosso verdi di “Enhedslisten” che gli eco socialisti di “Socialistisk Folkepartito”, hanno insistito molto sulle politiche comunitarie contro i cambiamenti climatici e l’agricoltura intensiva a destra il sempre verde “stop all’invasione” è stato utilizzato dalle destre nazionaliste come refrain per tutta la campagna elettorale.

Non si prevede, come in altri paesi nordici come Svezia e Finlandia, un particolare avanzamento dell’estrema destra sia per la frammentazione dell’area sia perché, proprio sull’immigrazione, la politica delle frontiere chiuse sta caratterizzando proprio l’azione dell’attuale governo socialdemocratico-centrista. Tutta l’estrema destra (divisa in 3 partiti) è data intorno al 15% mentre a sinistra dei socialdemocratici i sondaggi attribuiscono a rosso verdi e Sf oltre il 20% sopra al dato attribuito ai socialdemocratici della premier.