Un sogno lungo una vita. Una miscela esplosiva di musica, politica e energia collettiva anni Settanta quando sembrava possibile cambiare il mondo e inseguire utopie. Questo è Fela, il mio dio vivente, il film di Daniele Vicari, presentato alla Festa di Roma e in uscita nelle sale dal 21 marzo, una struggente testimonianza di una stagione felice e creativa ma anche delle presenze misteriose che vorticano attorno a noi, una vicenda lasciata in ombra per oltre vent’anni eppure di grande attualità e forza assoluta.

Un giovane romano, Michele Avantario, videomaker di talento e autore televisivo, ha cambiato completamente la sua vita dopo aver conosciuto Fela Anikulapo Kuti, l’immenso musicista (e ideologo rivoluzionario panafricano e gran sacerdote di riti animisti) che ha portato in concerto a Roma nel 1984 e l’ha folgorato nel profondo dell’animo, «il mio dio vivente» come confesserà in una breve orazione funebre. Lui, biondo e bianco, una specie di dandy new romantic anni ’80, ospite della sua famiglia allargata di Kalakuta, introdotto ai suoi rituali magici, spettatore delle sue innumerevoli performance.

Avantario, affascinato da questa figura carismatica, ha cullato una chimera attraverso incontri, filmati, esibizioni live, lunghe permanenze in Nigeria («innanzitutto procurati della marijuana e impara a fumarla senza tabacco, come si usa da noi»), amiche locali («mi resi conto di trovarmi in una città piena di odori, di colori, di vita» ) con un solo intento: fare un film su Fela Kuti. Non c’è riuscito per tanti motivi, per lungo tempo The Black President sarà contrario (attento nel gestire la sua immagine, consapevole del sensazionalismo dei media occidentali, del colonialismo sprezzante, delle manipolazioni intenzionali) poi gli darà finalmente l’autorizzazione salvo morire poco tempo dopo, ma tutto ciò gli farà scoprire qualcosa d’ importante: una nuova idea di esistenza.

Le molte ore di materiale originale girato con appassionata dedizione da Avantario e la determinazione di sua moglie Renata Di Leone (sceneggiatrice insieme a Vicari e Greta Scicchitano) hanno convinto il regista Daniele Vicari «a raccontare una storia semplice ma potente, quella di un ragazzo che si confronta con un mito vivente, tentando di realizzare un film impossibile».

Partendo dalle pagine del diario lasciato da Avantario (interpretato dalla calorosa voce narrante di Claudio Santamaria), ci s’immerge in un rutilante calderone con i colorati mercati di strada di Lagos, inebriata di petroldollari, tra disordine edilizio e automobili di grandi dimensioni, le discariche di spazzatura a cielo aperto, la sofferenza degli emarginati, la vita della famiglia allargata denominata Kalakuta Republic con musicisti, tecnici, facchini, venditori di marijuana (che costituiranno prima la band Africa 70 e poi Egypt 80, col fondamentale apporto del batterista Tony Allen) , le lunghe suite afrobeat tra cui il tagliente brano I.T.T. (come l’azienda tecnologica statunitense, qui vuol dire International Thief Thief, i ladrocini delle multinazionali che rapinano le risorse e tengono la gente giù in Africa) contro i corrotti regimi militari, le esibizioni settimanali con le sue movenze feline e le tirate antiestablishment nel club «The Shrine» , il tempio, la culla del sapere africano e un centro di potere spirituale, la sua nuova cosmogonia illustrata in diverse interviste, ricavando una contagiosa vitalità, dall’archivio colossale di immagini inedite. The music is a weapon, la musica è un’arma, ripeteva regolarmente e scriveva sui dischi (ne inciderà oltre 80 in tutta la carriera, spesso assemblati da produttori senza scrupoli), un modo per informare la gente, per propagandare analisi acuminate.

Da subito finisce nella lista degli indesiderabili. Non si contano le botte, gli arresti (principalmente nel suo paese ma anche in Italia, a Milano nel 1980 perché trovato con 43 chili di marijuana motivate come «consumo personale» solo perché della sua famiglia artistica facevano parte un’ottantina di persone, tutte al suo seguito durante il tour. Sono straordinarie le immagini di questo primo giro italiano con tutti questi settanta nigeriani con i musicisti che provano, le ragazze che cucinano e si truccano, altri che fanno la doccia o fumano nei giorni della detenzione di Fela), i processi che ha dovuto subire. I militari nel 1977 attaccano e bruciano Kalakuta Republic, la sua comunità indipendente, picchiando selvaggiamente i suoi abitanti, circa un centinaio, violentando coriste e danzatrici (che Fela sposerà tutte, per solidarietà, facendole diventare le sue 27 mogli).

Sua madre, Funmilayo Ransome Kuti, attivista politica e femminista, sostenitrice del diritto di voto per le donne, fu gettata da un balcone riportando ferite che in tre mesi la condussero in coma e poi alla morte. Aveva 77 anni. Anche Fela riportò fratture alle braccia e alle gambe, poi finirà in prigione continuando a denunciare i diritti umani calpestati, l’immoralità delle potenze occidentali e le malefatte dei generali al potere, raggiungendo una popolarità planetaria.

Collaboratore di Renato Nicolini per l’Estate Romana, organizzatore di serate al Macumba Club, artista visuale di caratura internazionale che si confronterà anche con Nam June Paik e Theo Eshetu, inizialmente Avantario è incuriosito dalla diversità africana, dalla cultura yoruba, dalla sessualità nigeriana poi ne sarà coinvolto e sconvolto, superando barriere culturali ed emotive (senza nessun atteggiamento o presunzione post-coloniale), scoprirà il cinema documentario, calandosi completamente nella sua altra vita, quella di discepolo carico di entusiasmo (etimologicamente dal greco «essere posseduto dalla divinità») filmando e rifilmando la vita privata del rinnegato Ransome diventato Anikulapo (in lingua yoruba, «colui che porta la morte in tasca»).

Fela lo sottopose a un’angosciante, estenuante attesa (per il film, dopo aver bloccato una pellicola precedente di cui Avantario recuperò le bobine senza audio), gli fa sperimentare un fallimento catastrofico e attraverso quello lo conduce alla conoscenza di sé. Ammaliato e ossessionato, Avantario proverà a coinvolgere la Motown Records e Bernardo Bertolucci nella produzione poi si abbandonerà alla dimensione più spirituale, i sogni e gli incubi che lo metteranno in contatto con il suo Babalawo, il suo mentore, in grado di esercitare un potere ancestrale, chiamando a raccolta i suoi antenati, parlando coi suoi sostenitori, ricreando esaltanti stati di trance con le sue iperboliche esibizioni musicali. Finirà per Aids nel 1997 con un milione di persone che saluteranno il suo feretro. La sua battaglia è portata avanti, ancora oggi, dai suoi figli che hanno reinventato uno Shrine, ancora più grande e attraente.

PS. Ho ritrovato su una vecchia agendina telefonica il numero di Avantario, cultore di musica africana e personaggio della scena artistica capitolina, diretto e mondano, incontrato più volte nelle notti romane. Great job, Michele (ben fatto).