«Dall’America latina all’Europa, proviamo a far circolare un’adrenalina comune, una nuova spinta al cambiamento basata sugli ideali e sulla nostra storia di rivoluzione». La voce di Daniel Placeres, pacata e ferma, ben tradotta dalla giornalista Nadia Angelucci, cattura l’attenzione dei presenti. Siamo nell’auletta parlamentare dei gruppi messa a disposizione da Sel. L’ospite, accompagnato da una delegazione di movimenti e associazioni è il rappresentante nazionale del Movimiento Participacion Popular- Frente Amplio dell’Uruguay. E’ un operaio della fabbrica recuperata Envidrio, che ha una gemella in Venezuela (VenVidrio). Fa il parlamentare, ma continua a lavorare in fabbrica.

Carlo De Angelis, della Cooperativa sociale Agricoltura Capodarco spiega il perché dell’incontro, ultima tappa di un viaggio all’insegna della «cooperazione decentrata internazionale»: con il centro sociale La Strada, con il Cnca, con Action diritti, con Spin Time Labs e con l’Unione inquilini. Con l’Uruguay che ha portato alla presidenza l’ex tupamaro Pepe Mujica e che continua a scommettere su un modello integrato di partecipazione popolare, il tema su tavolo è ghiotto: «utilizzare la loro esperienza per aprire una riflessione sul rapporto tra movimenti sociali e politici e sulla possibilità di un nuovo mutualismo: per sanare la frattura che invece esiste in Italia tra movimenti sociali e politici, fra spinte dal basso e rappresentanze istituzionali». Un tema particolarmente sentito da Giulio Marcon, indipendente di Sel, uno dei principali anfitrioni.

Placeres non si risparmia e per chiarire il suo pensiero, sventola la tessera da parlamentare: «Questo cartellino – dice – non deve diventare uno strumento di privilegio. Il parlamento deve aprirsi alla partecipazione dei movimenti e delle organizzazioni popolari. Per molto tempo questo non è avvenuto in Uruguay, ma con la prima vittoria del Frente amplio, nel 2004, i settori politici hanno incorporato le organizzazioni sociali nelle decisioni. Il messaggio lanciato da Pepe Mujica, che è di tutti noi, è semplice: non vogliamo vivere come l’1% dei privilegiati, ma come il 99% della popolazione».

Al termine dell’incontro, Daniel Placeres ha conversato con il manifesto sulla situazione politica in Uruguay nella nuova geopolitica del continente e nel contesto internazionale.
Lei ha incontrato i movimenti per la casa, le associazioni, i parlamentari. Qual è il bilancio di questo viaggio? Che idea si è fatta della situazione italiana?
E’ stato un viaggio, breve, non ho la presunzione di avere un’idea esaustiva. Però, per alcuni aspetti e fatte le debite proporzioni, mi sembra che le domande emerse richiamino quelle rimaste inevase dalle nostre parti dopo la devastazione compiuta dalle politiche neoliberiste degli anni 80-90 e la crisi delle rappresentanze istituzionali tradizionali. Non c’è uno spazio condiviso, un programma comune che dia sbocco alle richieste della popolazione. Certo, l’Uruguay è un paese piccolo, ma noi questo siamo riusciti a costruirlo. Il Frente Amplio è un movimento policlassista, che esiste dal 1971 ma che è andato affinando l’intesa fra le varie componenti, pur molto diverse: al nostro interno ci sono i comunisti, i socialisti, i democratici…
E come fate a trovare un accordo?
Si discute a fondo. All’inizio ognuno arriva con il proprio bagaglio, forte delle proprie granitiche convinzioni. Molti non capivano perché un operaio dovesse discutere con un imprenditore – fosse anche uno di quelli che non vogliono soltanto sfruttare gli operai. Ma poi tutti alla fine hanno capito che si deve cedere qualcosa nel corso del confronto per partecipare davvero alla gestione del paese e condividerne costi e benefici. Alla fine, ci si mette d’accordo su alcuni punti del programma. E nessuno può derogare, se non convocando un congresso che rimetta in discussione i punti da rivedere.
E però le forze moderate cercano di far passare misure neoliberiste sottobanco: come nel caso del Tisa, l’accordo per la liberalizzazione dei servizi. Com’è andata?
Anche in quel caso, abbiamo dovuto fare una plenaria. Durante il dibattito è emerso un orientamento prevalente, contrario alla liberalizzazione dei servizi, che ci avrebbe fatto tornare indietro dalle nostre principali conquiste. Nei dieci anni di governi del Frente Amplio abbiamo avanzato molto: per esempio nelle energie alternative: a causa della crisi dell’Europa. Prima compravamo petrolio per trasformarlo in energia. Avevamo solo dighe e quando i fiumi si seccavano per la siccità, eravamo dipendenti dall’esterno. Ora il 40% della nostra energia viene dall’eolico, dal fotovoltaico, dal biodisel… Passi avanti che certi parla-mentari non dicono perché vogliono appunto solo “parla-mentare”. E’ un problema che vedo molto in Europa: vengono elette persone che diventano specialisti di leggi e istituzioni, ma che non sanno niente di fabbriche, di come si deve sviluppare un’industria, come sviluppare l’agricoltura, come fare in modo che un paese produca e non debba sempre importare. Comunque, il nostro orientamento sul Tisa è stato portato al presidente Tabaré Vazquez, che avrebbe anche potuto non accoglierlo e decidere diversamente. Invece ci ha dato ascolto, e il Tisa non è passato, l’Uruguay è uscito dai negoziati. Ma c’è chi continua a pensare che sarebbe positivo partecipare a questo tipo di accordi perché abbiamo bisogno di vendere i nostri prodotti sugli altri mercati. L’Mpp non è maggioritario nella coalizione. E il dibattito è ancora aspro: perché quando in parlamento hai 50 deputati su 90, gli altri 40 contano. Soprattutto se possono avere l’appoggio dei grandi media, com’è ancora in Uruguay. I media, oggi, soprattutto la televisione, riescono a santificare un demonio e viceversa. Guardate come distorcono l’informazione sui governi progressisti dell’America latina: gli attacchi forsennati contro il governo di Nicolas Maduro, in Venezuela. Si santifica un golpista come Leopoldo Lopez, interferendo nelle decisioni sovrane di un paese. Nessuno dice che il Venezuela è l’unico paese al mondo ad aver sviluppato un gigantesco piano di costruzione di case popolari, anche autogestito: oltre 700.000 in dieci anni.
Nel 2005, lei è stato incaricato da Hugo Chavez di diffondere l’esperienza di Envidrio anche in Venezuela. Com’è andata e a che punto stanno le cose da voi per quanto riguarda le fabbriche recuperate?
Quel che non tutti sanno è che il primo incontro su questo tema è partito da Tabaré Vazquez e non da Pepe Mujica. Tabaré si è incontrato con Chavez e hanno deciso di dare un forte impulso alle esperienze di autogestione. Noi avevamo recuperato la fabbrica Envidrio. Insieme alla mia famiglia ero andato a vivere nella fattoria di Pepe perché non avevamo risorse. Era un periodo molto difficile. L’Argentina ne sa qualcosa. I padroni chiudevano le fabbriche e ci lasciavano in mezzo alla strada. Nel 2005, il governo ha riscattato molte imprese: soprattutto ha riscattato i mestieri. Allora, Tabaré ha creato per decreto un fondo di sviluppo economico costituito con il 30% dei guadagni della banca pubblica. Poi, con Pepe, il decreto è diventato legge.