L’inchino di riverenza davanti a una bara bianca. Hideki Okuyama ha dato finalmente il suo ultimo saluto alla madre Natsuko, scomparsa all’età di 61 anni l’11 marzo 2011. Il suo corpo è stato ritrovato dai poliziotti di Ishinomaki, nella prefettura giapponese di Miyagi, il 17 febbraio scorso, dieci anni dopo il disastro della centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, causato dal terremoto e dal conseguente tsunami che ha provocato oltre 20 mila morti. I poliziotti hanno trovato la donna sepolta nei pressi di un’azienda nella città di Higashi Matsushima.

Natsuko è stata travolta da onde superiori a 40 metri del maremoto che ha colpito diverse città sulla costa della regione del Tohoku, dopo il sisma di 9 gradi della scala Richter che si è registrato alle 14:46 locali. Le forti scosse che hanno fatto tremare la parte nord-orientale dell’isola di Honshu hanno provocato un blackout delle linee elettriche della centrale di Fukushima, mentre lo tsunami che si è abbattuto alcune decine di minuti dopo ha distrutto i gruppi di generazione diesel-elettrici di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3: in poco tempo il calore si è accumulato nei noccioli dei reattori coinvolti, che si sono danneggiati e hanno sprigionato vapori radioattivi.

Nei giorni successivi, ci sono state quattro distinte esplosioni che hanno liberato nell’atmosfera ulteriori emissioni radioattive. All’indomani del disastro, il governo giapponese ha chiuso un’area di 1600 chilometri quadrati che si estende attorno alla centrale di Fukushima. In questa zona, resa inaccessibile per anni, circa 165mila persone hanno lasciato la loro abitazione e molti hanno deciso di non tornare. Ma la questione dell’energia nucleare rimane un tema molto delicato per i giapponesi.

L’incidente nucleare del 2011 ha portato alla chiusura temporanea di 54 reattori che fornivano al Giappone un terzo dell’energia. Attualmente solo nove reattori sono in funzione, distribuiti su cinque centrali atomiche, mentre sono stati dismessi 21 impianti considerati obsoleti. A distanza di un decennio, lo smantellamento delle strutture danneggiate della centrale di Fukushima è ancora a un punto d’inizio. I lavori gestiti della Tepco hanno conosciuto un primo risultato ad aprile 2019, quando si è iniziato a rimuovere il primo dei 566 gruppi di combustibile nucleare inutilizzato del reattore 3.

Ma la Tepco, su cui si sono abbattute le critiche della popolazione, prevede che ci vorranno dai 20 ai 30 anni per demolire i reattori e smaltire l’acqua di raffreddamento contaminata. In soccorso della società, che attualmente immagazzina circa 119 tonnellate di acqua contaminata, è arrivato il governo di Tokyo. Nel 2019, l’ex ministro dell’Ambiente, Yoshiaki Harada, ha dato il via libera al versamento dell’acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico. Una decisione che ha irritato i pescatori locali, ricorsi ad azioni legali.

Ma il governo giapponese, ora guidato dal premier Yoshihide Suga, vuole imporre una svolta green al paese. Okawa. Quando Suga si è insediato ha posto l’ambiente in primo piano, presentando gli obiettivi climatici ed energetici del Giappone: diventare carbon neutral – cioè a emissioni zero – entro il 2050, con la quota di rinnovabili che passerà dal 19 per cento della attuale produzione totale di energia al 22-24 in dieci anni.

L’attuale visione green nipponica nasce dalle macerie del disastro nucleare di dieci anni fa.