Dopo oltre sei mesi dall’inizio delle violenze nel Tigray l’Etiopia si prepara al voto in una situazione di incertezza. La strada verso le elezioni legislative e regionali del 5 giugno è irta di ostacoli. L’Unione europea ha rinunciato a inviare una missione di osservazione elettorale per questioni legate alla sicurezza degli inviati, i sistemi di comunicazione e l’indipendenza della missione.

IL PORTAVOCE DEL MINISTERO degli Esteri etiope, Dina Mufti, ha spiegato che la missione europea avrebbe voluto importare «apparecchiature di comunicazione V-Sat estranee al sistema tecnologico dell’Etiopia», aggiungendo che invece che si sarebbe potuto utilizzare il sistema di telecomunicazioni nazionali. Bruxelles ha aiutato il Consiglio elettorale nazionale dell’Etiopia (Nebe) nella preparazione del voto con oltre 20 milioni di euro.

La registrazione degli elettori è ostacolata da problemi logistici e importanti, secondo fonti diplomatiche al consiglio elettorale manca il supporto logistico solitamente fornito dai militari, impegnati nei combattimenti del Tigray. A fine aprile, la presidente del consiglio elettorale Birtukan Mideksa ha annunciato che si sono registrati 31.724.947 elettori e che per motivi di sicurezza 4.126 seggi elettorali risultano chiusi e in alcune zone la registrazione non è neanche iniziata. Alcuni partiti di opposizione stanno pianificando il boicottaggio.

LE VIOLENZE NEL TIGRAY intanto proseguono e l’agenzia statunitense UsAid sostiene che nella regione si è raggiunto un punto critico: «L’accesso umanitario è ora una questione di vita o di morte».

 

I resti del conflitto nel Tigray su una strada presso la città di Abi Adi (Ap)

 

Vi sono poi ostacoli di tipo internazionale che agiscono nel contesto etiope, in primis le tensioni con Sudan ed Egitto in vista del secondo riempimento pianificato da Addis Abeba della diga del Grande rinascimento Etiope il prossimo mese di luglio, rispetto alla quale l’Etiopia vorrebbe mettere i contendenti di fronte al fatto compiuto (il riempimento) e poi trattare, cosa che Sudan ed Egitto non accettano: i due Paesi hanno chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite di incoraggiare l’Etiopia ad astenersi dal riempire unilateralmente la diga prima che le parti abbiano raggiunto un accordo.

EGITTO E SUDAN SOSTENGONO che il piano dell’Etiopia di aggiungere 13,5 miliardi di metri cubi di acqua nel 2021 al bacino idrico della diga sul Nilo Azzurro per loro è una minaccia. In apparente avvertimento ad Addis Abeba (e in preparazione per una possibile escalation delle tensioni) Sudan ed Egitto hanno tenuto lo scorso aprile la seconda esercitazione militare congiunta dal novembre 2020. Jeffrey Feltman, inviato del governo americano nel Corno d’Africa, ha incontrato mercoledì il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per trovare una risoluzione alla controversa questione della diga.

Dal punto di vista delle elezioni la campagna elettorale langue, qualche manifestazione e striscioni sparsi per il Prosperity Party (Partito della Prosperità), con una lampadina che simboleggia un futuro più luminoso. Il partito del Premier fondato solo un anno fa è un movimento pan-etiope che deve affrontare la sfida di partiti sempre più etnici in cerca di più potere per le loro regioni.

Molti governi regionali hanno controversie sui confini con aree limitrofe e affrontano disordini di basso e medio livello. Per quasi tre decenni fino alla nomina di Abiy, l’Etiopia è stata governata da una coalizione di quattro movimenti a base etnica dominati dal partito del Tigray. Un’amministrazione che ha governato il Paese in modo sempre più autocratico fino a quando Abiy ha preso il potere nel 2018 dopo anni di sanguinose proteste di piazza antigovernative.

ADESSO, IL PREMIER STESSO è di fronte alla prova elettorale che non riguarda semplicemente il suo futuro, ma della stessa Etiopia. Per lui queste elezioni saranno «uno dei capitoli della risurrezione dell’Etiopia». Dopo un’era di «oscurità e tumulto, spine e cardi, dolore e morte siamo arrivati in cima alla montagna dove splende la luce, portando la speranza della democrazia per il nostro paese». La diplomazia americana (e sulla scia quella europea) propenderebbero per un governo di transizione e un rinvio delle elezioni, mentre il premier è fortemente motivato dall’appoggio di Russia, Cina e India.

Nel 1993 il famoso politologo Samuel Huntington fu incaricato di valutare le prospettive di democrazia in Etiopia, e il presidente Meles Zenawi pose ad Huntington la seguente domanda: «Professor Huntington, ho letto il suo libro The Third Wave. Secondo la sua analisi, i Paesi diventano democratici dopo essere diventati ricchi. L’Etiopia è un Paese estremamente povero, molto lontano da un alto livello di sviluppo economico. Significa che la democrazia è impossibile qui?».

HUNTINGTON AMMISE che l’equilibrio generale delle condizioni economiche, sociali e di altro tipo in Etiopia non era favorevole allo sviluppo di una «democrazia in stile occidentale». Sostenne che, tuttavia, in Etiopia potrebbe essere creato un altro tipo di sistema democratico, ma questo «dipende in modo schiacciante dalla misura in cui i leader politici vogliono creare una democrazia etiope. I regimi politici sono creati non da precondizioni, ma da leader politici». E questo più che una Terza Ondata appare come parte del problema.