A passare in rassegna le prossime elezioni amministrative del Movimento 5 Stelle ogni città racconta una storia, ogni territorio rivela una sfumatura. Le specificità locali risaltano, soprattutto se si osserva un fenomeno articolato e fluido come il grillismo.

Tra le differenze, emergono alcuni punti fermi.

Ascoltando i discorsi dei big pentastellati che in questi giorni battono i comuni a caccia dell’ultimo voto, e osservando la reazione della gente che li va a sentire, si nota come il M5S stia giocando un turno preliminare prima della partita vera, un antipasto delle politiche più che la battaglia per la gestione delle autonomie locali.

Il paradosso è ancora più vistoso se si considera che agli albori la creatura di Grillo e Casaleggio si proponeva di restituire senso alla democrazia ripartendo dai contesti amministrativi e locali. Soltanto in un secondo momento, quando il brand giallo oro con le 5 Stelle è diventato garanzia di voto di protesta, ci si accorse che avveniva il contrario: tanto più lo spettro si allarga, e si prescinde da relazioni di vicinato, programmi concreti ed esercizi amministrativi, più i voti crescono.

In questo modo il Movimento 5 Stelle è diventato la formidabile macchina elettorale che è oggi. E il voto politico è visto come la madre di tutte le battaglie.

SOLTANTO da una prospettiva nazionale, ad esempio, possiamo spiegare il fatto che a Genova, dove il M5S è stato abbandonato da tutti i consiglieri comunali passati ad un’alleanza civica con le sinistre senza simboli di partito, e dove le primarie on line sono state annullate perché la candidata sindaco vincente, Marika Cassimatis, non risultava gradita al leader-garante Beppe Grillo, l’aspirante primo cittadino e tenore Luca Pirondini (slogan un po’ scontato: «Genova cambia musica») sia dato nei sondaggi attorno al 20%. Non dovrebbe bastare per andare al ballottaggio (al secondo turno dovrebbero sfidarsi gli esanimi contendenti di centrodestra e centrosinistra), ma facendo la tara delle traversie, delle polemiche e dei veleni, pare davvero un risultato sorprendente.

Gli strascichi genovesi, in effetti, suggeriscono la seconda costante in mezzo a tante variabili della mappa elettorare grillina: le rivalità locali.

Si litiga furiosamente per ottenere l’agognato marchio pentastellato, in alcuni casi si è passati alle carte bollate. A Piacenza, ad esempio, il bancario Andrea Pugni ha prevalso dopo numerosi abbandoni ed è vittima ancora in questi giorni di boicottaggio di altri MeetUp.

A Padova il candidato è Simone Borioni, docente di spagnolo in istituti privati. Borioni ha battuto alle primarie un suo ex allievo 22enne, col quale pure non ha mancato di polemizzare. Alle consultazioni on line hanno preso parte 150 persone, una cifra che appare tanto più modesta rispetto alle oltre 900 che hanno votato di persona alle primarie di Coalizione Civica, il laboratorio a sinistra del Pd che sta oscurando i grillini di Padova, città che rischia di passare alla cronaca perché è la prima in cui un grillino di peso è stato contestato in piazza: è accaduto al Luigi Di Maio, fischiato dagli antirazzisti a causa delle uscite delle Ong e dei salvataggi in mare dei migranti.

I grillini veneti in Regione sono accusati di collateralismo verso il presidente leghista Luca Zaia e a Padova qualcuno dice che i consiglieri del M5S non abbiano proprio fatto le barricate per ostacolare un altro leghista, il sindaco uscente Massimo Bitonci.

IERI Grillo era a Palermo, più interessato a lanciare la campagna verso le regionali di novembre che a coltivare la possibilità che Ugo Forello possa davvero battere Leoluca Orlando.

Anche Forello è reduce da lotte intestine e denunce incrociate: dopo essere uscito (non proprio amatissimo) da Addio Pizzo, ha commissariato di fatto il M5S all’indomani del disastro delle firme false che aveva colpito lo stato maggiore del grillismo palermitano. Forello lotta per strappare il ballottaggio all’ex Idv e Pd (ora sostenuto da Forza Italia e Totò Cuffaro) Fabrizio Ferrandelli.

Quanti voti prenderà da queste parti il M5S? Pochi voti per chi aspira a governare l’isola e il paese, ma tanti se si considerano l’assenza di radicamento e ancora una volta le divisioni interne. Raccoglie consensi nelle periferie in cui il voto delle clientele è in libera uscita, causa mancanza di materia prima: i politici della vecchia guardia non hanno più molto da offrire.

L’unico candidato grillino che può farcela si trova a Taranto e si chiama Francesco Nevoli: anche lui è venuto fuori da una consultazione digitale all’ultimo sangue, che ha tagliato fuori il candidato sostenuto dalla dirigenza cittadina.

Nevoli è scaltro e (anomalia nella città del default e del collasso dei partiti) fa sfoggio di savoir faire. Ha una lista trasversale, ci sono ex sindacalisti Fiom e anche esponenti delle forze dell’ordine. E ha stretto alleanza con il Comitato Liberi e Pensanti, che ha per simbolo il tre ruote che contestò partiti e sindacati. Maneggia la materia incandescente dell’Ilva con prudenza: nonostante il governo abbia scelto proprio questa vigilia di voto per annunciare i 5 mila esuberi dal tempio dell’acciaio affossando le speranza del Pd locale.

Nevoli da settimane fa il moderato e predica prudenza, ulteriore indizio che forse è davvero l’unico candidato che può vincere. A Taranto ci sono quasi 1200 candidati al consiglio comunale e una dozzina di aspiranti sindaco: una pioggia di facsimile che serve a disseminare il voto per controllarlo meglio. Per questo Nevoli deve sperare nel voto disgiunto.

TRA LE MACERIE dell’Aquila i grillini hanno ingaggiato una faida interna a colpi di scomuniche e comunicati di condanna.

L’agognato simbolo è stato infine concesso a Fabrizio Righetti, sostenuto dalla lista con età media più alta di tutte. Come alle scorse elezioni, i grillini qui sono oscurati dalla Coalizione sociale nata anche dai movimenti post-terremoto. Le condizioni di partenza non sono ideali, tanto che qualche giorno fa Luigi Di Maio aveva un comizio ad Avezzano ma da lì ha puntato direttamente verso Frosinone, dribblando la piazza aquilana considerata problematica. Lo stesso hanno fatto gli altri esponenti più noti.

I vertici del M5S hanno smesso da settimane di parlare di Parma. Dove i grillini conquistarono per la prima volta un capoluogo, compiendo un salto nella considerazione degli italiani e nella rappresentazione di antidoto alla Casta, naviga a gonfie vele Federico Pizzarotti, il dissidente sindaco numero uno che ha ridotto al lumicino il candidato del Movimento 5 Stelle doc, predicando pragmatismo, arte del compromesso ed elogio dell’attesa.