Sostanzialmente vinta la «guerra» per il contenimento del il Covid-19, Cuba deve affrontare una gravissima crisi economica dovuta a un cumulo di fattori ostili collegati alla pandemia: l’assenza di turismo (fondamentale per l’acquisizione di valuta) a causa della chiusura dei confini, riduzione della produzione e dei servizi.

Ma anche alla recrudescenza dell’embargo decisa dal presidente Trump e all’inefficienza del sistema produttivo statale. Da alcune settimane un numero limitato di contagi da coronavirus si verifica solo nella capitale e nella confinante provincia di Artemisia, mentre non si registrano vittime.

MA I NEGOZI SONO O CHIUSI o semivuoti e le code per procurarsi alimenti e generi di prima necessità si allungano pericolosamente. «Non possiamo continuare facendo le stesse cose nell’ambito dell’economia, perché così non si ottengono i risultati di cui abbiamo bisogno», ha sostento dieci giorni fa il presidente Miguel Diáz-Canel, annunciando un piano di riforme strutturali che ampliano il ruolo del settore privato e vanno nella direzione di liberare forze produttive fino ad oggi sottomesse al rigido controllo centralizzato della burocrazia. «Il rischio peggiore sarebbe non cambiare», ha concluso il presidente.

IL PIANO ANNUNCIATO prevede una serie di misure per «modernizzare» il sistema socialista cubano che, negli anni scorsi, erano state previste in vari documenti del Partito comunista e del governo. Ma che, soprattutto per una resistenza interna sia della burocrazia sia degli «ortodossi» del Pc, non sono state attuate o si trovano tuttora in mezzo al guado.

GLI ELEMENTI CHIAVE del programma propongono – almeno sulla carta- un impulso senza precedenti all’iniziativa privata: si prevede di dare una figura giuridica alle micro, piccole e medie imprese private- fino ad oggi sono considerate «lavoro per conto proprio»- che potranno così associarsi sia con imprese statali che straniere e soprattutto importare ed esportare beni.

Per incrementare questo settore dell’economia cubana che occupa più di 600.000 cubani (13% della forza lavoro) verranno creati mercati all’ingrosso (in valuta) per rifornire le Pim di materie prime.

Contemporaneamente sono previsti più ampli margini di autonomia sia all’impresa socialista statale, sia ai governi locali perché, come sostiene l’economista Juan Triana, «operino in accordo col mondo reale, fatto vitale se si pretende che l’economia cresca».

IN PARTICOLARE viene dato un impulso al settore agricolo e alla produzione di alimenti che –in una situazione come l’attuale di grande scarsezza e di aumento dei prezzi- diventa «una questione di sicurezza nazionale».

Il problema più difficile sarà superare il sistema di monopolio statale nella formazione dei prezzi e soprattutto nella commercializzazione (Acopio, ovvero ammasso statale) che ha dimostrato da anni una grave inefficienza: da almeno un decennio lo stato spende circa 2 miliardi di dollari l’anno per importare alimenti, molti dei quali potrebbero essere prodotti nell’isola.

«SE APPLICATE con la coerenza e l’urgenza richieste dall’attuale crisi queste riforme implicano cambiamenti di sostanza nel modello economico cubano», afferma Triana.

L’urgenza di far fronte all’asfissiante mancanza di «moneda dura», (divisa convertibile) ha indotto il governo a adottare altre misure di emergenza.

L’apertura di supermercati in dollari – all’inizio sono 72 in tutta l’isola -che vendono alimenti e articoli di prima necessità (assieme ad altri negozi che vendono elettrodomestici di «gamma medio alta») è la misura che nell’immediato ha più impatto.

Ma è anche quella che provoca numerose reazioni popolari di malcontento. Il presidente Díaz-Canel ha messo in chiaro che questa misura ha lo scopo di raccogliere divisa pregiata in un momento di crisi valutaria del governo, valuta che verrà impiegata in gran parte per comprare all’estero beni per rifornire i negozi che vendono in moneta nazionale. Per favorire gli acquisti il governo ha deciso di togliere la tassa del 10% che era applicata nel cambio del dollaro, adottata nel 2004 come reazione a una recrudescenza dell’embargo degli Stati Uniti.

Di fatto però viene prodotta una segmentazione della società cubana, divisa tra chi possiede valuta (in generale da rimesse di parenti all’estero) e chi ne è priva.

Per questo è una misura che viene avvertita da buona parte della popolazione come «contraria all’egualitarismo socialista» e che ha provocato vari commenti critici inviati nei giorni scorsi alla sezione lettere del quotidiano del Pcc Granma. In generale invece è positiva la reazione dei più noti economisti «indipendenti».

«Credo che operare in modo che le imprese statali siano realmente autonome e dare impulso al settore non statale, con particolare enfasi alle piccole e medie imprese, costituiscano misure positive», commenta Pavel Vidal, ex analista del Banco central de Cuba.

«Il tempo e la coerenza con cui questo pacchetto di riforme verrà implementato costituiscono un fattore decisivo. È necessario che sia varata d’urgenza una legge che regoli l’attività delle piccole e medie imprese. Cuba necessita di posti di lavoro, investimenti nazionali e produzione», afferma Triana.

«L’APERTURA DI NEGOZI in divisa e la eliminazione della tassa sul cambio del dollaro fanno parte degli incentivi per l’ingresso nell’isola di divisa, necessaria in un momento di crisi a causa della combinazione tra le conseguenze della pandemia, della crisi mondiale, il rafforzamento del l’embargo statunitense e l’inefficienza dell’economia interna», commenta Julio Carranzas, economista consigliere dell’Unesco per l’ America latina e il Caribe.

«Se si inizia subito a mettere in pratica quello che è stato annunciato, il resto dell’anno sarà assai movimentato», prevede Ricardo Torres, professsore di economia dell’Università dell’Avana.