Probabilmente gli anni Settanta sono stati l’ultima età dell’oro del calcio popolare. Niente paytv, niente protagonisti e procuratori ricoperti d’oro, un sano rapporto tra pubblico e squadra cementato dalla partita della domenica.

Di quell’epoca Johann Cruyff, funambolo imprendibile, capellone con pelliccia sintetica, stella del collettivo olandese, è stato il simbolo fulgido e straordinario, uno tra i più grandi campioni di tutti i tempi (come Pelè per i sixties e Maradona per gli eighties).

Nel calcio orange, la meraviglia dell’epoca guidata in panchina da Rinus Michaels, che puntava forte sulla condizione atletica, sulla tecnica individuale (e anche i terzinacci dovevano saper controllare bene la sfera) e sulla disposizione in campo, occupando tutte le zone nevralgiche, Cruyff è uomo-squadra per eccellenza, che costruisce, dirige e segna nell’Ajax e nella nazionale dalla brillante divisa arancione (senza nomi senza sponsor), con tanti compagni (da Neeskens a Rensebrink, da Krol a Suurbier) simili a modelli di stile, con quei capelli lunghi, il fisico asciutto e l’andatura dinoccolata.

Il numero 14 sembra un motorino che girava freneticamente attorno alla palla per eludere i difensori avversari, con un grande senso dell’anticipo riusciva a salvare gambe e pallone, andando sia in profondità sia svariando a destra o a sinistra (era ambidestro e segnerà spesso anche di testa) , tra una finta, un dribbling e un cambio di direzione, senza mai dimenticare il piacere e l’allegria di giocare a calcio.

Quello scatto in avanti che dal campo di gioco è finito anche dentro la società civile, il suo stile sovversivo e provocatorio lo farà subito schierare con gli oppositori del generalissimo Franco (quando passerà al Barcellona nel 1973) così come sarà la prima superstar a fumare apertamente giocando a carte in ritiro come i suoi compagni, dipinti come anarchici beatnik (anche per l’abitudine di praticare il sesso con moglie o fidanzate, regolarmente e nei tornei internazionali).

Cruyff alfiere del calcio totale e profeta del gol, secondo la fortunata definizione del film di Sandro Ciotti, parlava di responsabilità sociale del calciatore e della necessità di aiutare i compagni in difficoltà.

Ancora oggi molti vedono la mano (e il piede) dell’olandese volante nello stile vincente e collettivo del Barcellona, dove Cruyff ha seminato a lungo e bene (nei 9 anni trascorsi alla guida dei blaugrana ha vinto 4 campionati spagnoli e una Coppa dei Campioni) finendo per passare gran parte del tempo nel suo ranch in Catalogna. Un uomo che ha dispensato gioia in tutto il mondo, con leggerezza e impegno, sorridendo e giocando.

Per epitaffio userei le sue parole, riferite alla nazionale del 74 «La leggenda può trarre linfa anche da una sconfitta, soprattutto se giochi bene e se lasci un buon sapore in bocca ai tifosi…anche quando perdi, il bel calcio perdura nella memoria…».

Johann Cruyff
«La leggenda può trarre linfa anche da una sconfitta, soprattutto se giochi bene e se lasci un buon sapore in bocca ai tifosi…anche quando perdi, il bel calcio perdura nella memoria…»