In Russia si indebolisce il rublo e cresce il tasso di inflazione. Dopo performances che hanno stupito gli osservatori – a un anno e mezzo dall’invasione dell’Ucraina l’economia russa è riuscita non crollare e a volte a crescere nonostante le sanzioni occidentali e lo sforzo bellico – la moneta nazionale si è venuta a trovare in caduta libera, superando verso il basso i livelli del crollo osservato agli inizi della guerra in Ucraina. Questa settimana, dai 70 rubli di inizio anno, il dollaro è arrivato a superare quota 100 (l’euro i 110 rubli). Del pari, l’inflazione dei prezzi al consumo, mantenutasi a livelli tollerabili dall’inizio della guerra, è quasi raddoppiata a luglio (10,4%) con ulteriori impennate dall’inizio di agosto.

E DIRE CHE nonostante più di 13mila sanzioni economiche imposte dall’Occidente, quest’anno l’economia nazionale russa aveva finora presentato una sorprendente dinamica positiva (nel trimestre aprile-giugno, la crescita del Pil è stata del 4,9% superiore a quello dello stesso periodo del 2022 e tale da superare il calo del 4,0% allora registrato), con l’Fmi che prevede una crescita complessiva di oltre l’1,5%, più delle principali economie europee.

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Per far fronte alò crollo del rublo, in una riunione straordinaria di ferragosto, la Banca centrale ha alzato i tassi al 12%, ma la manovra non ha fermato l’indebolimento della divisa russa, con il dollaro sempre a quota 100. Le inattese convulsioni economiche hanno messo sul chi vive Vladimir Putin, che ha convocato ieri una riunione di emergenza dei principali dirigenti economici. Secondo il Financial Times, il ministero delle finanze si è presentato all’incontro con un piano di misure rivolte agli esportatori russi, in particolare l’obbligo di vendere fino all’80% dei guadagni in valuta estera, pena la privazione di ogni sussidio statale per i soggetti che non rispetteranno questi requisiti. Nel pomeriggio, il dollaro è sceso sotto i 95 rubli alla borsa di Mosca. Euro sotto i 103 rubli. Al tempo stesso, sempre ieri, l’indice della borsa di Mosca ha subito il maggiore calo (del 2,48%) dall’ottobre 2022.

LA VOLATILITÀ della moneta e dell’inflazione rappresentano disfunzioni strutturali per un sistema economico che sta attraversando mutamenti epocali quali il riorientamento complessivo delle esportazioni energetiche (elemento centrale dell’economia russa), le consistenti spese pubbliche per il settore militare-industriale (tali da introdurre una certa misura di keynesismo di guerra), l’impatto dell’emigrazione e delle mobilitazioni sulla struttura del mercato del lavoro (con il conseguente aumento dei salari e, dunque, della massa monetaria) e l’effetto distorsivo comunque presente delle sanzioni.

FRA I PROBLEMI principali dell’economia russa va poi annoverato la sfiducia nel sistema finanziario, causa di una costante fuga di capitali. Dall’inizio della guerra, secondo le sole cifre ufficiali, l’ammontare dei capitali russi che hanno abbandonato il paese è pari 53,4 miliardi di dollari (9 dei quali evacuati nel solo mese di giugno 2023), principalmente depositati nei sistemi bancari di Armenia, Georgia e Kazakistan. Alcune voci si sono levate per introdurre un maggior controllo statale su tale importante risorsa economica ma Putin in persona si è opposto ad una misura in contraddizione con l’ordoliberismo finora costantemente seguito dal suo regime.

Nelle ultime settimane infine, all’instabilità economica si è venuta ad aggiungere quella politica: la ribellione della Wagner e la posizione più che ambigua mantenuta dal suo leader, Evgeny Prigozhin, all’interno del sistema di potere putiniano hanno sicuramente contribuito ad innescare le fluttuazioni del tasso di cambio di luglio. In definitiva, le fluttuazioni inflazionistiche e valutarie osservate sono consuete per un paese in stato di guerra quale la Russia. Mosca potrebbe meglio farvi fronte se la sua politica non fosse ingabbiata nella struttura liberista e nelle altre anomalie (in primis il fenomeno Wagner) del regime di Putin.