Un accordo definito «storico» in Mali, che promette tuttavia di essere un nuovo capitolo nel litigio tra la Francia e il Paese africano, è stato firmato a Roma mercoledì tra i gruppi armati tuareg dell’Azawad e la giunta militare al governo in Mali. L’intesa da un lato apre un nuova prospettiva per la popolazione maliana ma, dall’altro, impantana ancor di più la diplomazia europea nelle sabbie del Sahel, con i rapporti tra Parigi e Bamako ai minimi storici e l’Unione europea che non sa che pesci pigliare.

IL DOCUMENTO FIRMATO A ROMA sancisce la collaborazione tra i maggiori movimenti armati del nord e il governo di transizione maliano, integrando la partecipazione dei leader comunitari tradizionali e delle organizzazioni femminili e giovanili nel Quadro strategico permanente, l’unione tra movimenti armati maliani nata a Roma nel maggio 2021 in occasione di un altro incontro sempre mediato dalla onlus Ara Pacis, alla presenza del ministro degli Esteri di Maio.

Ma perché un accordo così fa tanto arrabbiare la Francia?

Il documento è stato firmato un po’ a sorpresa e con un profilo molto basso, in un momento in cui i rapporti tra Parigi e Bamako, ma anche tra l’Ue e il Mali, sono tesissimi. In caduta libera. Parigi si è sempre detta contraria al governo militare in Mali (sin dal golpe del 2020, posizione ribadita dopo quelo del 2021) e ha fatto enormi pressioni sull’organizzazione economica regionale, la Cedeao, perché imponesse dure sanzioni economiche al Mali. Cosa che è accaduta.

DAL CANTO SUO LA GIUNTA militare maliana accusa i francesi del fallimento dell’operazione Barkhane, che contrasta il terrorismo nel Sahel, e cavalcando i sentimenti antifrancesi sempre più forti nella popolazione ha colto l’occasione dell’annunciato “riassetto” delle forze francesi in Mali per accusare Parigi di «tradimento» e di sostenere in qualche modo il terrorismo nel Sahel. L’escalation di dichiarazioni ha portato il ministro degli Esteri francese Le Drian a dire pubblicamente, una settimana fa, che «la giunta militare in Mali è illegittima» e poco credibile. La risposta del Mali non si è fatta attendere: il 31 gennaio l’ambasciatore francese a Bamako Joel Meyer è stato invitato dalla giunta militare a lasciare il Paese entro 72 ore.

IN QUESTO CONTESTO di tensione sono finite coinvolte anche altre nazioni europee, operanti in Mali nella forza Takuba dell’Unione Europea: la Danimarca, che ha schierato 100 uomini delle sue forze speciali a gennaio, è stata costretta al ritiro dopo giorni di polemiche con la giunta militare che riteneva la loro presenza «irregolare». La Norvegia, vista la mala parata, ha annunciato che non avrebbe più inviato il proprio contingente. Il capo della diplomazia europea Joseph Borrell ha nicchiato, pronunciando una generica «condanna» verso l’intransigenza del Mali, lasciando a Parigi l’onere di discutere a mezzo stampa con Bamako.

Il giorno prima della cacciata dell’ambasciatore Meyer da Bamako la onlus Ara Pacis, in collaborazione con il governo di Roma, aveva noleggiato due aerei per portare i ribelli tuareg al summit romano. Un’iniziativa che a Parigi non è piaciuta per nulla. Addirittura l’ex-ambasciatore francese Nicolas Normand, in Mali ai tempi di Nicolas Sarkozy, ha sganciato la bomba a Tv5Monde: «Bamako dovrebbe espellere l’ambasciatore italiano, non quello francese», proprio per via della mediazione in corso a Roma.

LE DIPLOMAZIE francese ed europea sono impantanate come mai e subiscono i toni sprezzanti delle dichiarazioni della giunta militare al potere in Mali. Toni che sembra abbiano una forte presa sull’opinione pubblica, non solo in Mali ma anche in Guinea, in Burkina Faso, in Niger e in Costa d’Avorio. Parliamo di movimenti di piazza, di proteste più o meno organizzate che si tengono quotidianamente in tutti questi paesi e a cui partecipano la società civile, attivisti, panafricanisti, sindacati e partiti politici, manifestazioni che in un certo senso mostrano sostegno nei confronti dei recenti golpe in Mali, Guinea, Burkina Faso e invocano un cambio di paradigma: non più alleati con Parigi ma con Mosca.

IN QUESTO SENSO, è evidente come la perdita verticale di appeal e di influenza da parte della Francia su questi paesi è qualcosa che brucia alla diplomazia francese, che mostra tutti i suoi limiti politici e diplomatici nei rapporti con le ex-colonie. Limiti che, invece, la diplomazia italiana sembra aver superato: oggi Roma sembra l’unico interlocutore europeo ad essere ritenuto credibile da Bamako. Che, in più, ha già fatto sapere di volersi rivolgere ai russi per l’addestramento delle proprie forze armate, per le operazioni antiterrorismo congiunte, per aumentare la sicurezza nelle aree oggi occupate dai terroristi. Una posizione inaccettabile per l’Europa e per Parigi ma sulla quale Roma non si è mai espressa.

IL TERRORISMO NEL SAHEL dimostra non solo di avere un grosso impatto sulle vite di popolazioni e governi locali ma anche che le missioni multinazionali occidentali per contrastare il fenomeno semplicemente non funzionano. In più oggi fa emergere chiaramente l’incapacità europea, in Africa ma non solo, di coordinare gli sforzi e gli intenti.

Errata Corrige

L’iniziativa della onlus Ara Pacis, in collaborazione con il governo Draghi, nella fase più tesa dei rapporti del Mali con la Francia e l’Unione europea. Con l’accordo che sancisce la collaborazione tra i principali gruppi armati tuareg del nord e il governo di transizione militare di Bamako l’Italia emerge come interlocutore privilegiato. E poi c’è la Russia