L’attacco di martedì sulla costa occidentale della Crimea, alla base dell’aviazione di Saki, non ha lasciato indifferenti le autorità russe. Nella penisola amministrata dalla Russia dal 2014 è stato dichiarato lo stato d’emergenza.

Secondo i media russi il bilancio definitivo del bombardamento sarebbe di un morto e 14 feriti, oltre a 62 edifici (non meglio e specificati) e 20 strutture danneggiate dalle esplosioni.

IN UN PRIMO MOMENTO le fonti di Mosca avevano dichiarato che il bombardamento non aveva causato né danni né vittime, ma dai video diffusi online dai residenti era stato subito chiaro che la realtà era diversa.

Gli ucraini, dal canto loro, oggi hanno fatto sapere tramite uno dei portavoce dell’aeronautica militare, Yuriy Ignat, che ben 10 aerei sarebbero stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente. Inoltre, un deposito di munizioni dell’aviazione russa sarebbe saltato in aria causando diverse esplosioni secondarie.

Al momento i due eserciti continuano a nicchiare sulle responsabilità. Il Cremlino ha affermato che non c’è stato alcun attacco al campo d’aviazione e l’Ucraina non ha né confermato né smentito il suo coinvolgimento diretto.

Il che è chiaramente impossibile: se non c’è stato alcun attacco, come affermano i russi, allora si dovrebbe ipotizzare un grave errore umano delle truppe di stanza in quell’area, cosa non impossibile data la vicinanza di una casamatta, ma altamente improbabile se si vuole credere alla distruzione dei caccia.

DI CONTRO, se l’Ucraina non ha progettato il bombardamento perché i militari di Kiev continuano a diffondere informazioni sugli armamenti e i mezzi distrutti?

La risposta sembrerebbe semplice: i russi non vogliono ammettere di essersi fatti sorprendere e gli ucraini di aver attaccato con armi a lunga gittata. Intanto il presidente Zelensky ieri ha dichiarato che «la guerra è iniziata nel 2014 con l’occupazione della Crimea da parte dei russi e dovrà finire con la sua liberazione».