«Viviamo in un villaggio globale. Nessun paese può vivere isolato dagli altri come Robinson Crusoe». È il Summer Davos forum del 2013 quando Li Keqiang, da pochi mesi premier cinese, pronuncia queste parole. Aggiungendo: «Nel corso degli anni, l’economia cinese ha tratto enormi benefici dalla sua politica di apertura». Poco più di dieci anni dopo, Li è morto e anche l’economia cinese non si sente poi così tanto bene. O quantomeno, non tanto come allora, all’alba della nuova Via della seta e ancora lontano dai venti di disaccoppiamento o “riduzione del rischio”.

Ieri la Cina si è vestita a lutto per celebrare l’ex premier, che aveva lasciato il suo posto lo scorso marzo dopo un decennio al fianco di Xi Jinping. O meglio sotto il presidente, la cui figura predominante ha finito per mettere in ombra tutte le altre. Compresa quella di Li, che da premier aveva in carico il dossier delle politiche economiche, su cui talvolta ha mostrato di avere opinioni non del tutto in linea con quelle del leader. Pur senza mai sfidarlo, neanche indirettamente.

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LE BANDIERE sono rimaste a mezz’asta su piazza Tienanmen, mentre il corpo di Li veniva cremato dopo l’improvviso attacco cardiaco che la scorsa settimana gli ha tolto la vita, a 68 anni. Al cimitero rivoluzionario di Babaoshan, dove si sono svolti i funerali, è andato Xi, in completo nero con fiore bianco, al fianco della moglie Peng Liyuan. I sette membri del Comitato permanente del Partito comunista sono rimasti in silenzio facendo tre inchini, poi Xi ha stretto la mano ai familiari di Li. Assente l’ex presidente Hu Jintao, che ha inviato una corona di fiori.

LI, COME HU, è cresciuto nella Lega della gioventù comunista, a cui Xi non ha lasciato posto al XX Congresso dello scorso ottobre. In quell’occasione, Hu poggiò la mano sulla spalla di Li mentre veniva scortato all’esterno della Grande sala del popolo, prima del discorso di chiusura di Xi.

I messaggi per il defunto premier hanno inondato i social. Su Weibo il pulsante “mi piace” è stato temporaneamente sostituito da un fiore di crisantemo. Il necrologio ufficiale diramato dai media statali è in perfetta linea con quelli degli altri ex premier scomparsi prima di lui. Li è stato definito “eccellente membro del Partito”, “soldato comunista leale”, “eccezionale rivoluzionario proletario e statista”.

Come sempre, grande attenzione sulle manifestazioni di cordoglio al di fuori dei rituali canonici. A Hefei, capitale della provincia rurale dello Anhui, è comparsa una piccola montagna di fiori di fronte alla residenza d’infanzia di Li. Ondate di persone in lutto anche a Zhengzhou, la capitale dello Henan, dove Li ha ricoperto il ruolo di massimo funzionario provinciale. Molte le citazioni di sue frasi su bigliettini e post, ma nessun segnale di disordine come qualcuno aveva paventato, ricordando quanto accaduto dopo le morti di altri leader come per esempio Hu Yaobang nel 1989. In realtà, già lo scorso anno Xi riuscì a gestire senza turbolente la morte dell’ex presidente Jiang Zemin, avvenuta peraltro proprio pochi giorni dopo le proteste contro la strategia zero Covid. E Li non aveva più da tempo influenza politica.

COME ACCADUTO con Jiang Zemin, dopo la morte viene forse parzialmente amplificato il riformismo di Li per metterlo in contrapposizione con Xi. Di certo, quello che qualcuno chiama “premier del popolo” aveva un atteggiamento meno dirigista sulle forze sociali e il mercato. Negli ultimi anni aveva talvolta presentato con cruda onestà la situazione dell’economia cinese. «Seicento milioni di cinesi guadagnano ancora appena mille renminbi (circa 140 euro) al mese. Dopo il Covid-19, il sostentamento delle persone dovrebbe essere la nostra priorità», aveva detto nel 2020, mentre il Partito si apprestava a celebrare la storica eliminazione della povertà assoluta.

Sempre in quei mesi, aveva proposto il rilancio della cosiddetta “economia delle bancarelle”, pilastro informale dello sfaccettato ecosistema socio economico cinese ma in linea con lo sviluppo “ordinato” e “di alta qualità” perseguito da Xi. Li non era un suo rivale, ma a volte si sa che lodare la strada non percorsa significa implicitamente esprimere dubbi sulla strada intrapresa.