Anche l’autorevole New York Times ha di recente portato alla ribalta, con un reportage video sul proprio sito web, la vicenda della produzione ed esportazione di bombe della Rwm Italia SpA da porti e aeroporti della Sardegna verso l’Arabia Saudita. È più che verosimile che il paese degli emiri abbia utilizzato queste armi nella guerra, condotta senza alcuna legittimazione dal punto di vista del diritto internazionale, contro lo Yemen, in cui è in coalizione con Emirati Arabi, Egitto, Kuwait, Qatar e Bahrain.

MA CHI È, O MEGLIO «di chi è» Rwm Italia SpA? Quando si parla di responsabilità d’impresa, in particolare di quelle del settore difesa, porsi questa domanda è fondamentale.

Fondazione Finanza Etica, insieme a Rete Italiana per il Disarmo e alla ong tedesca Urgewald si è fatta questa domanda e per questo ha svolto il 9 maggio 2017 attività di azionariato critico, utilizzando un minimo pacchetto azionario e sfruttando così i diritti di ogni azionista, presso l’assemblea generale degli azionisti di Rheinmetall AG, azienda tedesca fondata nel 1889, gruppo industriale composto da due settori, Rheinmetall Defence e Rheinmetall Automotive.

Società leader nel settore della difesa e della mobilità sostenibile (prego notare l’astuzia: si fanno armi di morte, ma anche auto sostenibili!), con 23.000 addetti e un giro d’affari di 5,6 miliardi di euro. Rheinmetall controlla al 100% Rwm Italia SpA, che ha tre sedi: Roma, Ghedi (BS) e Domusnovas, appunto a Cagliari.

DURANTE L’ASSEMBLEA generale degli azionisti della casa madre tedesca abbiamo chiesto per quale motivo la società avesse deciso di esportare le bombe in Arabia Saudita attraverso l’Italia e non, direttamente, dalla Germania.

Abbiamo avanzato l’ipotesi che la società temesse che il governo tedesco non avrebbe fornito le necessarie autorizzazioni, anche perché Die Zeit del 30 aprile 2017 riportava la notizia secondo la quale l’Arabia Saudita non avrebbe più chiesto autorizzazioni alla Germania per l’importazione di armi proprio per non creare imbarazzi al governo tedesco.

Per quale motivo il governo italiano non avrebbe dovuto avere lo stesso imbarazzo?

Noi pensiamo che avrebbe dovuto averlo e forse è stato così perché nell’ultima relazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri sul commercio degli armamenti per l’anno 2016 (obbligatoria ai sensi della L.185/1990), depositata in Parlamento il 26 aprile, si può verificare che Rwm è salita al terzo posto per giro d’affari nel settore della difesa (con 45 nuove esportazioni autorizzate dal Ministero degli Esteri per un totale di 489,5 milioni di euro, 460 milioni in più dell’anno 2015).

In particolare, la Relazione mette in evidenza una commessa di Rwm per 411 milioni di euro per l’esportazione di 19.675 bombe… ma non indica il committente, quindi non ci dice verso quale paese si sono dirette.

TUTTAVIA, LA RELAZIONE Finanziaria di Rheinmetall per il 2016 (che come azionisti, seppur critici, abbiamo avuto il diritto di leggere e analizzare), riporta un ordine «molto significativo» di «munizioni» per 411 milioni di euro da parte di un «cliente della regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa)».

Ecco qua, dunque, svelato l’arcano che l’astuto e imbarazzato governo italiano non ha voluto rivelare, come avrebbe dovuto ai sensi della L.185/1990.

[do action=”quote” autore=”Legge 185/1990″]Sono vietati esportazione e transito di armi verso i Paesi in stato di conflitto armato salvo diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare previo parere delle Camere[/do]

Ma a proposito di questa legge, occorre richiamare il suo articolo 1 (Controllo dello Stato): «L’esportazione, l’importazione e il transito di materiale di armamento … devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia.

TALI OPERAZIONI VENGONO regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Rispondendo a una interrogazione Parlamentare, il presidente Paolo Gentiloni ha detto (come già prima di lui la ministra per la Difesa Pinotti rispondendo a un giornalista) che tale operazione è perfettamente legittima e svolta all’interno della legge vigente.

Questa affermazione non può che significare una cosa: che l’esportazione di bombe verso un paese coinvolto in una guerra non legittimata dal diritto internazionale quale è l’Arabia Saudita è state regolarmente autorizzata dal Governo.

MA, PURTROPPO PER LUI (e per gli yemeniti) non significa che tale operazione sia legale.

Non lo è per due motivi: intanto perché le operazioni di transazione di armi vengono autorizzate («regolamentate») dallo stato secondo il principio costituzionale del ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (articolo 11) che, ovviamente come dichiarato dall’articolo 1 della Legge 185/1990, non vale solo per le guerre in cui fosse partecipe direttamente l’Italia, bensì per tutte le guerre in cui – anche con le transazioni di armi – l’Italia è coinvolta.

Ma in secondo luogo non si tratta di una transazione legittima perché la stessa Legge 185/1990 fa divieto di esportazione «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite» (art.1 co. 6 lett. a).

ECCO, L’AZIONARIATO critico, aiuta anche a comprendere le complesse articolazioni internazionali e responsabilità d’impresa e del governo (che in questo, come in altri, campi, ha funzioni precipue di controllo) che nel mondo globalizzato si presentano in molte attività economiche.

Ma anche a rafforzare l’azione della società civile che cerca di svegliare la politica spesso distratta e impegnata su schermaglie e questioni di poco momento, su questioni di rilevanza costituzionale e umanitaria come questa.
Pazienza se il Governo s’imbarazza; meglio sarebbe che il Parlamento svolgesse a pieno le proprie funzioni di controllo e di tutela dell’attuazione dei principi costituzionali.

* Fondazione Finanza Etica