Gli scandali corruttivi in Kenya sono ricorrenti e diffusi, ma nelle ultime settimane sembra esserci una crescita ulteriore che ha preoccupato la stessa presidenza della Repubblica perché, come sostiene l’ex capo della Ethics and Anti-Corruption Commission (Eacc), istituzione creata dal governo per arginare il problema, metterebbe a rischio la sicurezza nazionale. Una situazione nota, ma non nelle sue dimensioni reali: «Toa kitu kidogo», lasciami una piccola offerta, si dice per le strade, come se fosse una mancia, ma l’insieme di queste offerte non volontarie diventa il 30% del budget dello stato: circa 6 miliardi di dollari ogni anno.

L’ultimo caso di un certo livello riguarda il National Youth Service, con 9 miliardi di scellini (80 milioni di dollari) sottratti. Tra gli arrestati il direttore generale Richard Ndubai. Coinvolti anche 40 dipendenti dell’ente e 14 aziende.

Il modus operandi consisteva nel gonfiare i prezzi o dichiarare spese per servizi mai ricevuti. Alcune voci di spesa sono macroscopiche come quelle relative all’acquisto di carne (100 mila dollari), che tenuto conto del numero di giovani coinvolti nelle attività significherebbe un consumo giornaliero per persona di 66 kg.

Nelle ultime settimane sono stati scoperti pagamenti fraudolenti di 30 milioni di dollari al National Cereals and Produce Board (Ncpb) e contratti multimilionari assegnati ad amici e familiari di dipendenti della compagnia elettrica Kenya Power.

La stima solo per questi tre episodi è di una perdita di 120 milioni di dollari, in pratica il bugdet annuale di una contea di un milione di abitanti. Non a caso il Kenya si trova al 143° posto nella classifica di Transparency International su 175 paesi. Un problema non solo economico. La corruzione in Kenya sermbra mettere in crisi i principi costituzionali del Paese. E la faccenda è tale da mettere a rischio, appunto, la sicurezza nazionale.

Il problema è anche la diffusione del problema. Negli ultimi tre scandali ad essere coinvolti non sono singoli funzionari, ma l’intero apparato dirigenziale. C’è poi la questione di cosa comunemente si intenda per rubare: in genere uno è ladro solo se viene visto rubare. Inoltre se si ruba per il proprio territorio (la propria gente), diciamo per l’etnia (un po’ come si diceva in Italia per il partito) non si tratta di furto, ma di difesa della propria terra. Infatti, per molti il Kenya non esiste, non si appartiene allo Stato keniano, ma al «clan» ed è a questo che bisogna essere fedeli.

In questa situazione anche se il Pil cresce non c’è sviluppo, perché il miglioramento economico va a beneficio di pochi. Come spiegano gli economisti, c’è correlazione inversa tra l’indice di corruzione e l’indice di sviluppo umano. Non è solo un fatto economico: se non c’è fiducia nelle istituzioni (perché corrotte) non resta che la giustizia individuale.