Andrea De Domenico ieri è stato in vari centri sanitari di Rafah e ha incontrato i responsabili della Protezione civile coinvolti nell’assistenza ai feriti di Tel al Sultan e nel recupero dei corpi delle vittime. «Domenica notte i medici hanno dovuto eseguire decine di interventi chirurgici per tentare di salvare quante più persone», ci diceva ieri al telefono il capo di Ocha, l’ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu nei Territori palestinesi occupati. «Quanto è accaduto è terribile», ha affermato riferendoci poi del colloquio avuto con un chirurgo volontario pakistano. «Si tratta di un medico di grande esperienza che ne ha viste tante. Malgrado ciò era molto provato emotivamente dalle scene che ha visto. Mi ha raccontato di aver ricevuto dai soccorritori il corpo di un uomo sui 45 anni che abbracciava quello della figlia, entrambi morti carbonizzati. Non sono riusciti a sbloccarli tanto erano stretti l’uno all’altra. Li hanno lasciati così, in segno di rispetto».

De Domenico ha spiegato che il sito colpito è a 200 metri a nord della base logistica dell’Onu, su una collina di sabbia che fino a qualche tempo fa era ricoperta di tende. In quella zona è rimasto il gruppo di sfollati che due giorni fa è stato colpito dalla bomba. Negli ospedali, ha proseguito, sono arrivati feriti e corpi, anche di bambini, mutilati o decapitati che confermano la potenza dell’esplosione. «Gli aiuti umanitari che entrano a Gaza sono molto pochi» ha rimarcato il funzionario dell’Onu «oggi (ieri) abbiamo avuto una giornata complicatissima, con ritardi infiniti da parte dei militari israeliani nel darci la possibilità di operare, hanno ritardato varie nostre operazioni. L’accesso a Kerem Shalom è praticamente impossibile, siamo riusciti a muovere una trentina di camion di assistenza umanitaria dopo ore e ore di attesa».