Poco dopo le 21.30 nelle due piazze al centro del quartiere romano di San Lorenzo non c’è nessuno. Il luogo di ritrovo non è chiuso per via amministrativa, come disposto da circa mezz’ora dall’ordinanza della sindaca Virginia Raggi per Campo de’ Fiori, piazza Madonna de’ Monti, piazza Trilussa a Trastevere e l’isola pedonale del Pigneto.

Eppure gli unici due gruppi di persone che fanno su e giù tra piazza dell’Immacolata e Largo degli Osci sono una quindicina di vigili urbani. Le loro macchine stazionano ai bordi della strada, con i lampeggianti accesi. «Ieri non eravamo qua, non sappiamo se c’era gente», dicono alcuni di loro.

 

Piazza dell’Immacolata, nel quartiere romano di San Lorenzo, foto di Giansandro Merli

 

Al bar vicino dei ragazzi bevono un bicchiere. Seduti. Dopo le 18 si può consumare soltanto al tavolo. È venerdì sera e il quartiere che fu la base rossa dell’Autonomia Operaia e poi il luogo di contaminazione tra le esperienze dei centri sociali e l’esuberanza delle decine di migliaia di studenti della vicina Sapienza non assomiglia a se stesso.

Tanti universitari non hanno ripreso una stanza in affitto, stretti tra costi esorbitanti, didattica a distanza e rischio lockdown. Negli ultimi giorni poi, racconta una residente, la frequentazione notturna è rapidamente diminuita, in misura direttamente proporzionale alla curva dei contagi.

Questa notte San Lorenzo fatica a distinguersi dal resto della città. Assomiglia a piazza dei Cinquecento, davanti alla stazione Termini, dove a due ore dall’inizio del coprifuoco non si vede quasi nessuno.

Scendendo su via Nazionale, che collega le piazze Repubblica e Venezia, il vuoto è interrotto soltanto dai tavoli di un bar che fa angolo, dove si mangia e si beve mantenendo le distanze.

Campo de’ Fiori, poco distante, è uno dei quattro spazi interdetti dal divieto della giunta capitolina: dalle 21 alle 24 non si può entrare, se non per consumare in bar o ristoranti.

Tutti tranne tre, però, sono chiusi per protesta. «Manifestare così serve a poco, non se ne accorge nessuno – dice il barista del «Cocktail Bar» – Stasera praticamente non abbiamo lavorato, ma la gente era diminuita già prima: lo scorso fine settimana era pochissima. C’è paura. Non ci sono turisti. Non si lavora nemmeno durante il giorno, con il mercato».

 

Campo de’ Fiori, ore 22, foto di Costanza Fraia

 

Intorno alle 22, nella adiacente, storica libreria Fahrenheit 451 non ci sono clienti. Anche la voglia di parlare scarseggia. Un po’ più in là c’è il cinema Farnese. Gianni Titozzi ci lavora dal millenovecentosessantacinque: «55 anni. Non avevo mai visto questa piazza così vuota. Il Covid-19 ci ha portato tanti problemi. La situazione è complicata. Gli incassi sono diminuiti. Queste misure per noi sono molto penalizzanti. Però certo, meglio chiudere prima che prendere il virus».

Nel vicino quartiere di Trastevere, dove la cosiddetta «movida» non parla più romanaccio, è stato tirato un nastro giallo intorno alla centrale piazza Trilussa. Arrivandoci da Ponte Sisto sembra impacchettata come un albero di Natale, punteggiata dalle luci verdi dei monopattini elettrici parcheggiati ovunque e da quelle blu dei blindati dei carabinieri.

 

Piazza Trilussa, ore 22.30, foto di Costanza Fraia

 

A parte i pochi metri quadrati circondati dallo scotch e presidiati dagli agenti, la vita intorno scorre come durante gli ultimi giorni, immersa in un’anomala routine. Secondo il pizzettaro dietro la piazza: «Tre settimane fa era pieno, due molto meno, lo scorso weekend non c’era quasi nessuno. Oggi sono entrate sei persone». Lamenta l’assenza dei tavolini, ma certo la qualità dei supplì non invoglia la frequentazione.

Quando non sono scoccate ancora le 23, in piazza Santa Maria in Trastevere ci sono: sette ragazzi seduti intorno alla fontana (con mascherina e distanziati), un turista che prova a impennare col monopattino elettrico, una pattuglia di carabinieri che osservano la scena.

Dietro l’angolo l’allegro disordine dello storico bar San Calisto è soltanto un ricordo. Gli avventori siedono intorno ai tavolini, all’esterno. Gli ultimi due posti liberi sono dentro, nella sala prima del bagno, sotto i poster della Roma.

 

Bar San Calisto, ore 23.30, foto di Costanza Fraia

 

«Più che il coprifuoco per noi baristi il problema principale è non poter servire al bancone dopo le 18 – racconta Marcello Forti, proprietario del bar in cui lavora dal millenovecentosessantanove – Gli incassi sono ormai meno di metà della metà. Ci sono nove famiglie che vivono da questo esercizio commerciale. Con la prima ondata, con le prime chiusure, c’era qualche soldo da parte. Ma la seconda è più dura: stiamo già raschiando il barile».

I contagi però sono schizzati e le strategie adottate finora non stanno funzionado. E se fosse necessario un altro lockdown? «Il governo dovrebbe assicurare subito la sospensione delle tasse, la garanzia della pigione e la copertura del personale – continua Forti – Altrimenti sarà un disastro».

 

Marcello Forti, proprietario del bar San Calisto

 

A un tavolino esterno alcuni studenti al quinto anno del liceo Mamiani bevono l’ultima birra. Prima di parlare poggiano la bottiglia e indossano la mascherina. «Finiamo e andiamo. Oggi inizia il coprifuoco, ma alla fine sabato scorso non è stato molto diverso. I bar chiudevano comunque presto. Non c’erano serate. Non c’era niente da fare. L’altro weekend abbiamo visto più gente, ma dopo mezzanotte quasi tutti sono tornati a casa», dicono sconsolati.

Non deve essere divertente avere 18 anni ai tempi del Covid.

Alle 23.23 quasi tutti i ristoranti chiudono sedie e tavoli. In via di San Cosimato, sotto la targa che segna un edificio in cui abitava Alberto Sordi i camerieri bangladeshi raccolgono le ultime cose: non è rimasto più nessuno.

La città, nel frattempo, entra in una strana frenesia. Non c’è il fascino della prima volta, quando il lockdown è arrivato nella capitale con le terapie intensive mezze vuote e i contagi ancora bassi. Alle finestre non ci sono i tricolori e anche gli striscioni «Andrà tutto bene» sono decimati.

Ieri a Roma i nuovi positivi sono stati 605 e nel Lazio 1389. Nella regione sono 18.531 le persone attualmente affette dal virus. I numeri ufficiali dicono che 131 sono ricoverate in terapia intensiva.

Ormai chiunque conosce direttamente qualcuno che si è ammalato e la corsa ai tamponi ha scatenato attese chilometriche ai drive-in.

Basteranno cinque ore di confinamento notturno, nel tempo generalmente dedicato al riposo, a invertire la rotta? In quanti si saranno contagiati tra mezzanotte e le 5 di mattina? Sarà sufficiente vietare per decreto una notte già svuotata dalla noia e dalla paura?

L’impressione è che alla grandezza della parola «coprifuoco», dagli echi guerreschi e militari, difficilmente possano corrispondere effetti di pari portata. Servirebbero almeno due settimane per valutarlo, ma intanto incombono misure più rigide e meno simboliche.

 

Ponte Milvio, ore 24, foto di Costanza Fraia

 

Pochi minuti prima dell’ora X, quando l’ordinanza della sindaca Raggi riservata a quattro luoghi della movida lascia il passo a quella del presidente del Lazio Nicola Zingaretti valida su tutto il territorio regionale, le ultime macchine ancora in giro accelerano la corsa verso casa.

Su Ponte Milvio restano solo i lucchetti degli innamorati. Nelle strade laterali poliziotti annoiati provano a convincere ragazzi ammaliati dalle telecamere dei giornalisti Rai che è ora di rientrare. Uno corre col cappuccio in testa e la mascherina in faccia al lato del fiume, sfiorando i marmi.

Superata la mezzanotte sul Lungotevere è già calato il silenzio. Tutto è fermo. Al semaforo ci sono una macchina dei carabinieri e un camioncino della spazzatura. Via del Muro Torto è vuota, dentro e fuori il sottopassaggio.

Intorno alla stazione Termini, sotto gli archi di cemento e sopra i condotti di aria calda è rimasto solo chi non ha una casa a cui tornare. Fagotti umani punteggiano il perimetro del centro geografico della capitale. Accendono sigarette tra i piloni del sottopassaggio Pettinelli. Si allungano fin giù, dove inizia la ferrovia Roma-Giardinetti.