Un pezzo di iceberg di 4 tonnellate staccato dall’Artico si sta sciogliendo a Glasgow, il blocco è stato portato dagli attivisti di Artic Basecamp per mettere la Cop26 di fronte al dramma di uno degli effetti potenzialmente più devastanti del riscaldamento climatico. È un’operazione meno poetica di quella dell’artista danese Olafur Eliasson, che in occasione della Cop21 a Parigi, aveva realizzato di fronte al Panthéon l’opera Ice Watch, con pezzi di iceberg.

È difatti solo dal 2015 che le Cop discutono di oceani. Ieri a Glasgow, è stata la giornata dedicata all’oceano, ridotta però a una tavola rotonda sulla «finanza blu», accompagnata da un appello solenne per un’azione di protezione degli oceani, con promesse di «grandi misure ambiziose». Dietro questa facciata, avanzano però le attività dell’Autorità internazionale dei fondi marini, che discute come sfruttare al meglio le risorse minerarie sott’acqua, mentre alla Commissione per la conservazione della fauna e della flora marine, a cui aderiscono la Ue e 25 paesi, non è ancora stato possibile trovare un accordo sulla creazione di nuove aree marine protette. All’Onu è dal 2012 che si discute su un trattato internazionale di conservazione delle biodiversità in alto mare, senza nessun risultato finora.

Intanto, il riscaldamento climatico causa una dilatazione termica, che è responsabile del 40% del rialzo del livello del mare, che, aggiunta allo scioglimento dei ghiacci minaccia la vita di milioni di persone che vivono in riva al mare, tra erosione delle coste e sommersione delle terre. Il Giec prevede un aumento del livello degli oceani di un metro di qui a fine secolo. L’Amoc, la corrente rovesciata dell’Atlantico meridionale, sta perdendo potenza, la circolazione delle masse d’acqua rallenta. Gli oceani si acidificano, c’è stata una crescita del 30% dell’acidità in pochi anni, le barriere coralline sono diminuite del 20%.

Gli oceani, che rappresentano il 71% della superficie della terra, assorbono più del 90% del surplus di energia e il 30% delle emissioni di carbonio. Con gli effetti del riscaldamento climatico potrebbero non più svolgere questo ruolo, con un rischio di retroazione negativa, come sta succedendo con le foreste. Ma la presa di coscienza è lenta. Il prossimo appuntamento è il primo One Ocean Summit, che la Francia organizza all’inizio del 2022 a Brest, per discutere su misure di protezione. Gli Usa sono il quindicesimo paese ad essere entrato nella coalizione di stati preoccupati per il rialzo del livello del mare (con Giappone, Kenya, Indonesia, Norvegia, Cile ecc.), ma il passaggio all’azione tarda.

Il problema è mettere d’accordo la necessaria lotta al riscaldamento climatico con l’economia. Già il presidente della Cop26, Alok Sharma, si allarma: ci vuole più impegno da parte di tutti. A Glasgow non mancano gli esempi di questo scontro. L’Indonesia, per esempio, che ospita la terza foresta tropicale al mondo, dopo aver sottoscritto martedì l’impegno contro la deforestazione per il 2030, ha già fatto marcia indietro: il vice-ministro degli Esteri, Mahendra Siregar, ha affermato che è «inadeguato e ingiusto costringere l’Indonesia a rispettare la zero deforestazione» entro quella data. Battaglia anche sul mercato del carbonio.

Contro gli ambientalisti, estremamente critici verso questo sistema opaco e passibile di favorire frodi, è sceso in campo il Ruanda, che vuole approfittare del sistema in atto, di crediti e di offsets, che permette la compra-vendita dei diritti a emettere Co2. Il Brasile vuole poter utilizzare i vecchi crediti, stabiliti con il Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 e entrato in vigore nel 2005, che per i critici permette di mascherare un doppio conteggio delle riduzioni. Il Parlamento europeo lunedì discute la proposta di spostare le tasse dal lavoro alle emissioni di Co2.