«Non possiamo avere l’obiettivo di sconfiggere la Russia perché rischia di rivelarsi molto pericoloso». Giuseppe Conte continua a martellare il governo sulla crisi ucraina. «Siamo al terzo decreto per l’invio di armi, a due mesi e mezzo dall’inizio del conflitto abbiamo bisogno di aprire una fase due: non serve adesso mandare ulteriori armi, l’Italia deve essere in prima linea per indirizzare una soluzione politica», ha detto ieri alla stampa estera.

L’APPUNTAMENTO DEL 19 maggio, quando Draghi farà un’informativa alle camere sulla guerra, si avvicina. E si alza la tensione dentro la maggioranza. «Nessuno ci può chiedere di stare in silenzio. Siamo la forza di maggioranza relativa, chiediamo un dibattito, un confronto in Parlamento. In una democrazia parlamentare succede questo», insiste il leader M5S.

«Vogliamo creare problemi al governo? Se qualcuno pensa che ci divertiamo a farlo rispondo di no. Stiamo cercando di orientare le forze di maggioranza e indirizzare il governo», replica Conte. E aggiunge: «Sull’aumento delle spese militari ci accusavano di minare la credibilità della Nato, e alla fine ci sono venuti tutti dietro». E anche Draghi a Washington ha usato parole «molto vicine alle posizioni che ho tenuto». Di qui la speranza di Conte che tutta la maggioranza viri verso una «linea di prudenza».

Il 19 maggio non è previsto un voto del Parlamento sull’informativa di Draghi. E potrebbe non esserci neppure a fine maggio, in vista del consiglio europeo del 30 e 31. Le regole prevedono che le comunicazioni del premier (con successivo voto delle camere) siano obbligatorie solo quando il consiglio Ue è ordinario, ma questa volta si tratta di una riunione straordinaria dei 27. Dovranno essere i capigruppo a chiedere al premier di tornare in aula pochi giorni dopo la sua informativa del 19. E non è automatico che accada.

IL RISCHIO CONCRETO È CHE non si arrivi ad un voto. Una soluzione che va bene a palazzo Chigi, che rischierebbe di uscirne indebolito, ma anche a Conte, che non dovrebbe pagare il prezzo di uno strappo plateale con Draghi. Molto dipenderà anche dai toni del dibattito di giovedì. Se oltre al M5S anche la Lega dovesse alzare i toni, la cosa avrebbe un peso politico.

Ma Salvini nelle ultime ore si è molto ammorbidito, e non ha fatto mistero di apprezzare quando detto da Draghi a Biden. M5S tuttavia non demorde: «Stiamo valutando le forme tecniche per arrivare a un voto del Parlamento, già il 19 maggio», dice a Repubblica il vicepresidente Mario Turco. «Stiamo valutando la possibilità di presentare una mozione». Sarà tecnicamente possibile? «Il premier ci ascolti e si trovi il modo di votare, si eviti una scortesia istituzionale».

IL NODO DEL RAPPORTO tra governo e camere è sul tavolo. «A inizio marzo abbiamo votato l’invio di armi in un contesto che oggi è radicalmente cambiato», osserva il deputato di Leu Stefano Fassina. «L’obiettivo politico e militare di Stati e Uniti e Regno Unito va decisamente oltre la legittima difesa dell’Ucraina, siamo dentro una escalation bellica. E dunque per continuare nell’invio di armi c’è bisogno di un nuovo mandato da parte del Parlamento».

SULLA STESSA LINEA Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana: «Finalmente nel dibattito italiano, a partire dal premier, sono entrate parole come ricerca della pace. Parole sagge che mal si conciliano con l’ulteriore invio di armi. Il governo deve venire in Parlamento, che deve essere messo in modo trasparente e chiaro nelle condizioni di potersi esprimere con un voto sui nuovi sviluppi».

ENRICO LETTA INVECE non ha dubbi sulla linea di Draghi. «Tutti ci riconosciamo nelle parole dette dal premier negli Usa. L’Italia ha preso per mano l’Europa intera». Il leader Pd non chiude al confronto in aula. «Penso che sull’Ucraina ci sia stato un voto chiaro e netto con consenso largo: se c’è bisogno di aggiornare perché ci sono dei fatti nuovi lo si faccia, io non ho nessuna paura di andare a votare in Parlamento e di aggiornarsi rispetto a cambiamenti significativi che dovessero essere avvenuti». «Finalmente, dopo aver trascorso due mesi parlando di armi e guerra, anche Enrico Letta ragiona sulla pace…», l’ironica replica della Lega.

DAL MINISTERO DELLA DIFESA arriva uno stop alle richieste di Conte: «Questo è l’ultimo decreto con le armi? Tutto ci lascia pensare che ci sarà ancora bisogno di sostenere il governo ucraino», dice il sottosegretario Giorgio Mulè (Forza Italia). E il ministro leghista Giorgetti avverte: «Conte rappresenta il partito più numeroso in Parlamento e questo non si può sottovalutare». Quanto all’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia (su cui c’è il via libera del leader M5S: «Non mi sento di dire no»), il leghista aggiunge: «Non credo che questo aiuti ad abbreviare la guerra, penso che surriscaldi gli animi dalle parti di Mosca».