Paura del parlamento per il Mes? Ma figurarsi! «Io non temo mai una risoluzione del parlamento», replica sicuro il premier. Come mai allora da un bel pezzo il governo gioca a rimpiattino con le camere per evitare quel voto? «Non è attendismo ma chiarezza di obiettivi. Ora siamo concentrati sul Recovery Fund. Alla fine avremo un ventaglio di proposte, arriveranno i conti della Ragioneria dello Stato: non si decide su astratte valutazioni». Insomma rinvio, per la disperazione dei 5S che temono proprio questo: una serie di rinvii per approdare poi alla richiesta di prestito in settembre. Conte, anche a costo di smentirsi, li rassicura: «Io ho deciso quel che ho deciso già una volta e non ho cambiato idea».

COME ESERCIZIO di equilibrismo è spericolato, sfida il principio di non contraddizione, ma altro Conte non può fare. Il Pd, dopo la sparata di Zingaretti, sembra essersi acconciato a decidere in settembre. Se si chiudesse sui dl Sicurezza incardinandoli prima di agosto, come appare ora possibile, il segretario del Pd avrebbe la sua vittoria da sbandierare e accettare il rinvio sulla decisione Mes diventerebbe molto meno doloroso. Persino Renzi fa il conciliante: «Il M5S prende tempo ma poi dirà sì». Questione di settimane insomma e non vale la pena di rischiare per fare un po’ prima.

SULL’ESITO FINALE probabilmente il Pd e i renziani hanno ragione. Non tanto per quel risparmio di 500 milioni di euro l’anno che i tassi agevolati del prestito Mes garantirebbero, ma perché Frau Merkel ha fatto chiaramente capire di aver bisogno del Mes come prova di buona volontà dell’Italia. Non solo per piegare le resistenze sul Recovery Fund ma anche e soprattutto per reggere lo scontro successivo, quando cercherà di usare il semestre di presidenza tedesca della Ue per rifondare radicalmente l’Unione. Del resto lo stesso segnale lanciato dal vicepresidente della Bce de Guindes, con l’invito a «mettere i conti dell’Italia in ordine», è chiaro. Dire no al Mes, in settembre sarà molto difficile.

I 5S contrari al Mes, che ci sono anche se sono molti meno di quanti sembrerebbero stando alle dichiarazioni ufficiali, temono proprio questo. Il silenzio di Conte in materia conferma le paure, moltiplica le fibrillazioni e a loro è dedicata la frasetta del premier sulla decisione già presa. Certe volte dire tutto e il contrario di tutto è un’esigenza. Ma nonostante le assicurazioni di Conte, una notevole inquietudine per quel che può succedere alla vigilia del vertice del Consiglio europeo del 17 luglio nella maggioranza circola. Si voterà per prima la risoluzione di maggioranza ed eviterà prudentemente il pur minimo accenno al Fondo Salvastati. In questo modo però, anche se districarsi nella giungla dei regolamenti parlamentari è sempre difficile, l’approvazione della risoluzione non dovrebbe precludere la presentazione di altre risoluzioni proprio sul famigerato prestito.

COL VOTO CONTRARIO di M5S, Lega, FdI e probabilmente anche di LeU il testo pro-Mes non passerebbe comunque ma la spaccatura della maggioranza sarebbe plateale. Salvo scelta del Pd e di Italia viva di votare contro il prestito dopo averlo invocato nel modo più fragoroso per mesi e con la promessa di tornare a invocarlo subito dopo averlo bocciato con il voto. Non che sia impossibile, dato lo stile della politica italiana, ma certo non sarebbe una bella figura e non agevolerebbe i già accidentati percorsi futuri.

A RENDERE PIÙ OSTICA la situazione c’è il quasi contemporaneo voto sullo scostamento di bilancio necessario per varare il decreto Luglio. S’impone la maggioranza assoluta. Sulla carta i 161 voti ci sono, sia pure con margine di un solo voto, ai quali si dovrebbero aggiungere i senatori a vita, che però certamente non saranno tutti in aula. L’eventualità di qualche assenza di troppo tra i senatori della maggioranza consiglierebbe dunque di poter contare, come già nello scostamento necessario per il dl Rilancio, su Forza Italia. Ma tra gli azzurri la tentazione di subordinare il prezioso soccorso all’accettazione del Mes è forte. Intorno a metà luglio dunque Conte dovrà muoversi, tra Roma e Bruxelles dove si troverà di fronte alla proposta di portare da 750 a 600 miliardi il Recovery, su un campo pieno di mine.