Il capo della prevenzione al ministero della salute, l’epidemiologo Gianni Rezza, è noto per la sua prudenza. All’interno del Cts è stato lui il principale fautore delle varie misure di restrizione decise dal governo in questi due anni. Stavolta nel video-commento che accompagna la pubblicazione del rapporto settimanale sul monitoraggio della pandemia scommette sull’autodisciplina. «I cittadini sanno quando utilizzare la mascherina, però è bene fare un richiamo alla cautela». Nel filmato stavolta Rezza non indossa più nemmeno la mascherina chirurgica ripristinata una settimana fa dopo il deciso aumento dei casi positivi: è l’ottimismo della volontà.

Ce n’è ancora bisogno, visto che i dati tornano a farsi scuri: ieri i nuovi casi sono stati 86 mila con 72 morti. E negli ultimi sette giorni l’incidenza settimanale è salita da 504 a 763 nuovi positivi ogni centomila abitanti (+51%). Le regioni messe peggio sono quelle centrali: nel Lazio l’incidenza arriva a 930 casi. Campania, Abruzzo, Umbria e Sardegna sono poco sotto. Incidenza molto alta anche in Veneto (927) ma nel complesso al nord va meglio che altrove.

L’indice Rt continua a crescere e ora è a quota 1,3. Continua a crescere, entro valori non preoccupanti, il numero di posti letto occupati dai pazienti positivi. Sono quasi uno su dieci in area medica e il 2,5% in terapia intensiva.

IL DIBATTITO TRA ESPERTI e decisori si concentra ancora sulle mascherine. Giovedì il governo aveva eliminato l’obbligo di indossarle anche nei luoghi di lavoro privati (salvo trasporti e sanità). La scelta non è dettata da ragioni sanitarie ma politiche, e ispirate direttamente da Palazzo Chigi: finito il tempo di obblighi e divieti, ora si punti sulla responsabilità individuale. I colleghi di Rezza consigliano di non abbandonare i dispositivi di protezione. Al convegno annuale dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, che si è chiuso ieri a Padova, era richiesta la mascherina Ffp2, quella più protettiva.

C’è chi rimpiange l’epoca dei Dpcm, come il governatore campano Vincenzo De Luca che parla di un ministero «in confusione». «Ancora oggi non è stato definito l’obbligo dell’uso delle mascherine negli uffici pubblici. Abbiamo la sensazione di navigare a vista».

IL MINISTRO DELLA SALUTE Roberto Speranza gli risponde nel giro di minuti: «Le mascherine sono e restano fondamentali, abbiamo un obbligo più limitato e una raccomandazione che facciamo con forza, dopo due anni di pandemia chiediamo alle persone di avere ancora un atteggiamento di prudenza e cautela». Immancabile la chiosa: «Puntiamo sulla responsabilità individuale».

Ma tra De Luca e Speranza le mascherine sono solo un pretesto per rinfocolare una polemica già aperta e su questioni ben più sostanziali. «Il Governo e il ministero della Salute – dice De Luca – non hanno ancora deciso il riparto del Fondo sanitario nazionale per quest’anno: siamo a luglio e il riparto ancora non c’è. Roma semplicemente non esiste». Per il ritardo, De Luca ha presentato anche un ricorso al Tar. Il dissidio riguarda i criteri con cui suddividere i 117 miliardi che il governo destinerà nel 2022 ai servizi sanitari regionali. Il governatore campano chiede che il riparto non sia stabilito solo sulla base della popolazione e dell’età media, ma tenga conto anche delle condizioni di deprivazione socio-sanitaria del territorio. Attualmente la quota pro-capite del fondo inviata in Campania (regione più giovane d’Italia) è del 10% più bassa rispetto alla Liguria, dove la popolazione è di 5 anni più anziana in media.

L’ALTRO PILASTRO della risposta pandemica, le vaccinazioni, rimangono nel limbo. «Invitiamo tutti coloro che sono in condizione di particolare fragilità e le persone più anziane ad effettuare una dose di richiamo», dice Rezza. Ma allo stesso tempo è sempre più evidente come i vaccini basati sulla vecchia variante stiano perdendo di efficacia e che molti aspettino (forse) i vaccini aggiornati. L’ultima conferma arriva da una ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicata sulla rivista Lancet sulla popolazione nella fascia d’età 5-11 anni. Il vaccino Pfizer dopo due dosi ha dimostrato un’efficacia del 29,4% nei confronti del contagio e del 41% – ma con un margine di incertezza compreso tra il 22 e il 55%, a causa di un limitato numero di casi – contro la malattia grave. Un’efficacia inferiore a quella riportata nei test clinici nelle età superiori, spiegabile in buona parte con la diffusione delle nuove varianti.