Il Rapporto 2023 di Ispra-Snpa sul consumo di suolo con dati 2006-2022 è stato pubblicato nell’indifferenza generale di politici, decisori pubblici e dei media.

La fotografia che offre è preoccupante, perché è quella di un Paese che all’unisono pare cieco di fronte all’evidenza, preda di un’idea del mondo che non sembra trovare incrinature, tanto a destra quanto a sinistra. Quella di continuare a sottrarre suolo ai suoi usi naturali per usi “produttivi” e insediativi, per dare spazio a strade, piattaforme, edifici, senza fare nulla per prevenire il degrado idro-geologico, le frane, l’occupazione di terreni alluvionali, senza curarsi del rispetto né degli habitat né tanto meno degli eco-sistemi nei quali dovrebbero integrarsi le comunità umane.

Il consumo di suolo continua ad aumentare ovunque. Tra le Regioni, primeggiano per suolo occupato e per il suo aumento Lombardia, Veneto, Campania ed Emilia-Romagna, confermando una tendenza ormai costante da anni. Il consumo è solo in parte dovuto a edifici e fabbricati che, peraltro, si trovano spesso in aree a pericolosità sismica, da frana e idraulica (in cui primeggia l’Emilia-Romagna). Il suolo viene consumato soprattutto per infrastrutture e attività logistiche, nelle quali svettano Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.

Il Rapporto sottolinea quanto pericolosi siano questi andamenti. Si consuma suolo in aree protette e vincolate o prossime a “faglie capaci” o nella vicinanza di canali e fiumi o delle coste, contribuendo alla frammentazione delle superfici degli eco-sistemi. Anche il degrado ambientale (dovuto a più fattori) appare in aumento, soprattutto negli ultimi quattro anni.

Il quadro che emerge è quindi drammatico. La cementificazione continua, slegata da esigenze abitative e necessità di rigenerazione urbana e sociale, con la conseguente impermeabilizzazione dei terreni, meno aree verdi, città sempre più calde.

Tutto ciò, ovviamente, è il risultato di scelte precise, non accade a caso. Ciò che emerge, tuttavia, è che le tendenze in atto non sembrano essere dipese dalle politiche di un particolare governo centrale o delle Regioni. Tanto in quelle governate dal centro-sinistra che nelle altre sembra prevalere lo stesso orientamento (non vi sono Regioni “virtuose”, da nessun punto di vista).

Non solo, nelle tre Regioni che per molti versi rappresentano la “locomotiva” dell’economia del Paese – Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – gli andamenti appaiono simili, perché il consumo di suolo è guidato da una logica “produttivistica” di sfruttamento delle risorse naturali. Le promesse circa il “rispetto dell’ambiente” e l’obiettivo di “consumo di suolo zero al 2030” appaiono solo propagandistiche, lettera morta.

Quel che però colpisce, e in qualche modo ferisce, è che vi sono Regioni, come l’Emilia-Romagna, governate da chi aveva fatto del rispetto dell’ambiente e della lotta al degrado ambientale una bandiera.

Come mostra il rapporto, in Emilia-Romagna non solo il consumo di suolo non è diminuito ma, anzi, continua ad aumentare. Quando, nel maggior scorso, la Romagna è stata devastata da alluvioni e frane provocate da piogge di eccezionale intensità, nella loro breve durata, si è subito parlato di evento “estremo”, dimenticando che all’origine di quel tipo di eventi, oggi, c’è proprio il cambiamento climatico di cui il consumo di suolo è uno dei fattori scatenanti, come lo è della “fragilità” che il territorio ha rivelato nei corsi d’acqua alterati e nelle terre collinari e montane franate a valle.

Il “negazionismo” di chi governa – che l’aver cementificato il suolo, impermeabilizzandolo, non era da mettere in relazione – si è rivelato tanto risibile quanto la tesi che la Regione avesse una legislazione che aveva messo un freno al consumo di suolo. Non è mai tardi per cambiare registro, ma certo è ora di togliere il consenso a chi persegue con tenacia verso il disastro.