C’è un’unica vera questione al centro della consulta popolare che si terrà oggi in Ecuador: riaffermare la leadership di Correa contro il «traditore» Lenin Moreno oppure descorreizar il Paese, liquidando l’eredità politica dell’ex presidente.

UN REGOLAMENTO DI CONTI che si gioca in massima parte sul quesito relativo all’eliminazione o meno della cosiddetta «rielezione indefinita» – cioè della possibilità di candidarsi alla stessa carica per un numero indefinito di mandati – introdotta da Rafael Correa, nel 2015, nella Costituzione di Montecristi proprio per potersi ripresentare alle elezioni del 2021.

Cosicché, al di là del lucido avvertimento di Simón Bolívar che «nulla è tanto pericoloso quanto lasciare per lungo tempo uno stesso cittadino al potere», in quanto «il popolo si abitua ad obbedirgli ed egli si abitua a comandarlo», la questione si traduce molto semplicemente nell’impedire o meno il ritorno sulla scena politica dell’ex presidente. Il quale, rientrato dal Belgio (dove si è trasferito con la famiglia) per guidare la campagna contro la consulta, ha intanto ricevuto due inviti a comparire: uno presso la Procura nell’ambito di un’indagine su presunte irregolarità nella prevendita di petrolio alla Petrochina e l’altro presso la Contraloría General nel quadro dell’audit lanciata da Moreno sui debiti contratti dal Paese dal 2012 al 2017.

LO SCONTRO DI POTERE – che ha condotto non solo all’uscita di Correa da Alianza País, ma anche a una serie di rinunce, come quelle del procuratore generale Diego García e del ministro delle Miniere Javier Córdova – si riflette anche sul quesito riguardante la riforma del Consiglio di partecipazione cittadina e di controllo sociale, creato dalla Costituzione del 2008 per esercitare il controllo delle istituzioni e promuovere la partecipazione dei cittadini, ma diventato, secondo gli avversari dell’ex presidente, uno strumento al servizio degli interessi “correisti”. Una riforma che tuttavia sembra sostituire semplicemente, nell’immediato, l’influenza di Correa con quella di Moreno, a cui spetterebbe la nomina dei membri del nuovo consiglio di transizione, i quali avrebbero anche il potere di destituire le principali istanze di controllo.

QUANTO AGLI ALTRI CINQUE quesiti, se si esclude quello sull’eliminazione dell’imposta contro la speculazione nella vendita di beni immobili – sostanzialmente un regalo di Moreno al settore legato al latifondo urbano – gli altri sembrano fare poco più che da contorno. O perché si tratta di questioni che non richiedevano il ricorso a una consulta, come l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per chiunque sia condannato per corruzione e l’eliminazione della prescrizione per abusi sessuali contro minori; o perché non introducono alcun cambiamento effettivo, come i quesiti relativi alle restrizioni allo sfruttamento di petrolio nel parco Yasuní e all’attività mineraria, potendo tutt’al più servire – ed è il motivo del «Sì critico» della Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene – come un primo passo per approfondire il dibattito sul modello estrattivista che ha caratterizzato il correismo.

E se, come ha affermato l’ex presidente dell’Assemblea Costituente Alberto Acosta, la consulta può essere comunque un’opportunità per il popolo di far sentire nuovamente la propria voce, difficilmente l’effetto sarà quello di un rilancio dello «spirito di Montecristi», progressivamente abbandonato dal governo Correa tanto sul versante di una democratizzazione radicale dello Stato quanto su quello dell’applicazione dei principi più innovativi – e più sconfessati – della Costituzione del 2008: il riconoscimento della plurinazionalità e dei diritti della natura. E per quanto il presidente Moreno abbia ristabilito un dialogo con forze sociali come il movimento indigeno e quello ecologista, definiti da Correa come i più grandi nemici della Revolución Ciudadana, molti temono che saranno altre forze, legate ai settori finanziari e alla vecchia politica, a incidere di più ulle scelte economiche, finora rimaste molto vaghe, dell’attuale governo.

AL DI LÀ DELLE CONVERGENZE con il programma della destra di Guillermo Lasso, che prevedeva esattamente una consulta popolare su rielezione indefinita e ristrutturazione del Consiglio di partecipazione cittadina, destano infatti non poco allarme i segnali inviati da Moreno in campo economico, come l’eliminazione delle restrizioni alle importazioni, l’impegno a ridurre il costo del lavoro per le imprese (a scapito del potere di consumo delle fasce basse), il riavvicinamento al Fondo monetario internazionale e l’auspicio di un accordo commerciale con gli Usa.