«Le procedure informali di riammissione in Slovenia vengono applicate nei confronti dei migranti rintracciati a ridosso della linea confinaria italo-slovena anche qualora sia manifestata l’intenzione di richiedere protezione internazionale». Così Lamorgese in risposta a una interrogazione di Riccardo Magi, deputato di +Europa. E’ vero quindi che al confine con la Slovenia i migranti vengono respinti a priori, tutti, anche se avrebbero diritto a protezione internazionale.

Procedure informali, «semplificate»: nessun atto, nessuna traccia. Il ministero specifica che ci sarebbe un modulo che la polizia italiana consegna a quella slovena assieme ai migranti ma, ammesso che ciò avvenga, non è documentazione pubblica. Viene in mente la denuncia presentata dalla polizia slovena l’anno scorso contro la garante della privacy Mojca Prelesnik che, assieme ad Amnesty International, aveva chiesto di desecretare parte dei documenti riguardanti il trattamento dei migranti e dei richiedenti asilo.

«La sicurezza dell’area Schengen, del Paese e di tutta l’Unione europea, verrebbe compromessa rilevando più particolari di quanto fatto finora» aveva scritto la polizia slovena. I migranti? Non si sa chi né quanti: non sono niente, nemmeno numeri. Nessun diritto di asilo viene violato, prosegue Lamorgese nella sua risposta, perché questo è garantito «a prescindere dallo Stato individuato quale competente ad esaminare la domanda».

Nella realtà, i diritti dei migranti vengono fatti rimbalzare da uno Stato all’altro, scaricati da uno all’altro e, così, negati. D’altra parte secondo Lamorgese «non può essere consentito allo straniero, pur bisognoso di protezione ed aiuto, di scegliere il Paese in cui essere eventualmente accolto».

L’Italia respinge in Slovenia, la Slovenia in Croazia, la Croazia in Serbia o in Bosnia-Erzegovina, nei campi di concentramento finanziati dall’Europa fuori dall’area Schengen. Dal confine italiano la tratta all’indietro è coordinata dalle polizie: da un camion all’altro, cambiano le targhe e le divise ma il loro carico umano si ritrova fuori dall’Europa. «La Croazia non rispetta i diritti umani»: così recita la sentenza di un tribunale elvetico che ha impedito la riammissione in Croazia di un giovane siriano che aveva raccontato e documentato più di un anno di ripetute sevizie da parte della polizia croata. Poliziotti che rubano vestiti, documenti, cellulari. Poliziotti che urinano sopra i migranti dopo averli malmenati. Poliziotti che sparano lacrimogeni tra la gente accampata.

I dossier delle Ong attive in quel tratto di inferno, i rapporti di Amnesty International, la stampa slovena e anche croata, basta informarsi per farsi un’idea di quel che succede a decine di migliaia di migranti bloccati in una specie di terra di nessuno, in balìa delle polizie di frontiera ma anche di bande di ultranazionalisti. Qualche giornale parla dei cadaveri, annegati nei fiumi o disidratati nel bosco o saltati su qualche ordigno rimasto dalla guerra fratricida in Jugoslavia.

Il ministero dell’Interno fa finta di non sapere, la risposta a Magi è un’ammissione sconcertante: si deportano le persone in forza di un accordo che viola le norme internazionali. Migranti comunque continuano ad arrivare a Trieste e in condizioni sempre più precarie. Quelli intercettati ben dentro la linea di confine vengono sistemati in quarantena, il più delle volte nei tendoni allestiti appositamente dall’esercito, vietato a chiunque avvicinarsi, e poi «trasferiti altrove».

Altri arrivano nella piazza della stazione dove, ogni giorno, Linea d’Ombra e Strada Si.Cura offrono qualche parola, un panino, le prime cure per provare a mitigare la tortura di piedi martoriati. «Abbiamo bevuto dalle pozzanghere, abbiamo cercato di mangiare l’erba, ci hanno tolto tutto quello che avevamo» raccontano i migranti.

Scrive ancora Lamorgese: «Slovenia e Croazia sono membri dell’Unione europea, essi sono da considerare intrinsecamente Paesi sicuri, sotto il profilo del pieno rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali in materia». E annuncia l’invio di altri centro militari a presidiare il confine.