È stata una vittoria schiacciante quella riportata dal governo Maduro alle elezioni municipali e regionali di domenica in Venezuela. Il chavismo – o, come preferiscono definirlo i settori più critici della sinistra, il “madurismo” – si è affermato in 20 stati su 23, oltre che a Caracas, dove l’ex ministra dell’Interno Carmen Meléndez si è imposta con il 58,9% dei voti.

COME PREVISTO, l’opposizione, che è riuscita a conquistare solo Cojedes, Nueva Esparta e Zulia, benché quest’ultimo sia il più popoloso del Venezuela, ha pagato duramente la mancanza di unità: se si fosse presentata unita, avrebbe potuto giocarsi la vittoria in almeno altri tre stati. Ma, ancor di più, ha scontato il discredito provocato da tre anni di appelli a «restare a casa» e dalla lunga serie di fallimenti, scandali di corruzione e promesse mancate che hanno segnato la stagione del “governo per Internet” di Juan Guaidó.

Non è da addebitare però solo alla rovinosa strategia dell’opposizione la bassa affluenza registrata domenica: la partecipazione di appena il 41,8% degli elettori è il segnale di una disaffezione politica crescente che non può non investire anche il governo Maduro.
E se il presidente ha ragione a ricondurre l’ennesima vittoria alla «perseveranza» e alla «rettitudine» della militanza, ciò non assolve il governo da tutti i suoi limiti ed errori: gli accordi di vertice con la borghesia, lo smantellamento dei servizi pubblici, il burocraticismo, l’inefficienza delle politiche in difesa dei settori più poveri, la concentrazione di potere nell’esecutivo, l’ingresso di capitali privati in diversi settori chiave dell’economia. E più in generale, l’abbandono nei fatti di quel processo di transizione all’ecosocialismo che era stato, pur nelle contraddizioni, il grande sogno di Chávez.

PERCHÉ è di tutt’altro che parlano la controversa Ley Antibloqueo, descritta da più parti come uno strumento per una sotterranea privatizzazione delle risorse del paese, e l’ancor più criticato progetto di legge per la creazione di Zone economiche speciali, le quali, quasi per definizione, finiscono per costituire enclave estrattiviste sottratte al controllo dello stato.
Che il governo non sembri disposto a porre freni al modello estrattivista, lo dimostra del resto non solo la mancata rinuncia al carbone, a cui si deve la contaminazione della Sierra de Perijá, ma anche il rifiuto ad aderire all’accordo globale per frenare la deforestazione firmato, alla Cop 26, da ben 124 paesi.

La vittoria di domenica, stavolta legittimata anche dalla partecipazione di tutto l’arco politico, oltre che dalla presenza degli osservatori elettorali (la missione della Ue riferirà oggi), rappresenta in ogni caso una bella boccata di ossigeno per il presidente Maduro, il quale ha esortato tutti, vincitori e sconfitti, a «rispettare i risultati» e a portare avanti il dialogo politico e «la riunificazione nazionale».

QUANTO ALL’OPPOSIZIONE, tra i pochissimi a commentare il risultato è stato il candidato a sindaco di Caracas per la Mud, la Mesa de la Unidad Democrática, Tomás Guanipa: «Dobbiamo riconoscere la necessità di cambiare la strategia seguita finora. La nostra sfida deve essere quella di stare con i cittadini, perché è innegabile che il paese vuole un cambiamento ed è per questo che dobbiamo lottare».