Solo dopo l’annuncio ufficiale, alle 21 di domenica, il Brasile democratico ha tirato il fiato. Il baratro era stato evitato per un soffio. Due ore prima, con circa il 70% dei voti validi scrutinati, il candidato dell’ultradestra Jair Messias Bolsonaro era giunto al 49% delle preferenze lasciando il delfino di Lula, Fernando Haddad, al 24%. Il risultato finale – 46% contro 29,3% – fotografa un ballottaggio al cardiopalma tra due Brasile, uno democratico e l’altro neofascista.

L’affondo che nessuno avrebbe immaginato all’inizio della campagna elettorale stava per verificarsi sull’onda del rifiuto di «un sistema politico corrotto» e del Partito dei lavoratori (Pt) che ne era il simbolo. Bolsonaro, il politico incolore che ben pochi conoscevano, è progressivamente diventato famoso per i suoi attacchi frontali al sistema, al suo elogio della dittatura militare (dal 1964 al 1985, unica critica: «Non aver fucilato abbastanza») e per le sue sparate contro stranieri, negri, donne, gay e indios.

Il leader della piccola formazione politica Partito social liberale (Psl) è per i suoi seguaci più fanatici – giovani benestanti bianchi attivi soprattutto in rete – una sorta di salvatore di un Brasile scosso da molte crisi, economica, ma anche etica e ideologica. E in preda a un aumento esponenziale della violenza. Ma tutto sommato era poco più che una brutta copia del populismo ultranazionalista globale che ha il suo riferimento in Donald Trump, o in Matteo Salvini e l’ungherese Viktor Orbán. Senza alcuna speranza, se avesse dovuto affrontare Lula da Silva.

Una volta che i giudici, per conto delle oligarchie politico-economico-militari, hanno messo fuori gioco l’ex presidente metalmeccanico (al quale è stato anche negato il diritto al voto), il Messia Bolsonaro è diventato il candidato perfetto dei poteri forti: oltre ai vertici militari, ha ricevuto l’appoggio di finanzieri, imprenditori e dei mass media più potenti, come rete Globo, feroci detrattori di Lula. Fondamentale è stato anche il sostegno dei settori più conservatori della Chiesa Evangelica brasiliana che gli ha portato l’appoggio – fino ad oggi del tutto inusuale per i candidati delle élites bianche – di vasti settori popolari.

Bolsonaro infatti è un personaggio politico manovrabile. Leader di un partito che ha 5 rappresentanti nel Congresso e di un clan famigliare che amplifica i suoi slogan, è il politico che raccoglie il più alto tasso di rifiuto: il 46% degli elettori, soprattutto donne, ha affermato che non è disposto a votarlo. «Sono un ex capitano d’artiglieria, cosa volete che parli di economia» ha risposto a chi gli chiedeva qual era il suo programma economico. Ma ha avuto il fiuto di lasciare mano libera come futuro superministro dell’Economia a Paulo Guedes, un Chicago boy, neoliberista scatenato le cui idee – ridurre il debito pubblico mediante privatizzazioni, concessioni al capitale estero, vendita di proprietà pubbliche – sono assai gradite al mercato (e agli Usa).

Il candidato del Pt, Fernando Haddad è un intellettuale, laureato in diritto e con studi in flosofia e economia. È stato ministro dell’Educazione e sindaco di San Paolo. È poco conosciuto, ma le sue credenziali politiche e intellettuali lo avallano come un democratico.

Ed è sulla base della difesa della democrazia in Brasile che Haddad, più che chiedere l’appoggio dei leader delle altre formazioni di sinistra o socialdemocratiche – come il governatore del Cearà, Ciro Gomes , la verde Marina Silva o Geraldo Alckmin – deve coinvolgerli nella formazione di un fronte unito che può portare a un governo di coalizione (di “salvezza nazionale”). Insomma, è necessario che dia prova di essere il candidato di tutti, non solo di Lula e del Pt. Inoltre dovrà convincere la parte degli imprenditori che si rivolgono al mercato interno e che sono contrari alla «denazionalizzazione della forza produttiva del Brasile» che il suo governo sarà più simile a quello di Lula che a quello di Dilma Roussef. In sostanza dovrà guadagnarsi la maggioranza e non contare sul voto del rifiuto a Bolsonaro. In tre settimane è un compito che fa tremare le vene.