Che ci dice il gesto di prendere il proprio bambino di appena una settimana, vestirlo, uscire di casa e affidarlo alla “Culla per la vita” della Mangiagalli di Milano che, come si legge nel sito dell’ospedale «garantisce il totale anonimato e la completa sicurezza per il neonato»? Di certo ci parla di un dolore lacerante, mischiato alla paura, all’ansia, alle incertezze. E poi di ragioni che sono comunque insindacabili qualsiasi possano essere e come tali vanno rispettate, con discrezione, cura, ascolto. Nella scelta di questa madre però c’è appunto la certezza che il bimbo non correrà dei rischi, a differenza di tanti altri casi che la cronaca negli anni ci ha restituito di bambini abbandonati nei cassonetti o in posti tra i più impensati, anche negli autogrill la cui vita era stata messa a rischio o anche che purtroppo erano morti.

In questo caso lei sa che il piccolo sarà subito al sicuro, in mani esperte e capaci di occuparsene, e che il suo futuro sarà probabilmente sereno, con qualche famiglia che lo ha scelto e lo crescerà. Mentre a lei, alla mamma, questa scelta che non è un abbandono, dà almeno a garanzia la promessa di discrezione, di anonimato, che nessuno ne parlerà di questa storia proteggendola in questa sua decisione.

E invece, la persona che a Pasqua ha lasciato il bambino Enea alla Mangiagalli si è trovata all’improvviso, con tutto il suo dolore, nel bel mezzo di uno schiamazzo mediatico ta talk show di scarso valore, sollevato per primi proprio da chi, i responsabili dell’ospedale, avevano garantito il contrario; che hanno iniziato pubblicamente a chiederle di ripensarci, di tornare indietro, di tenere il suo bambino, che il modo per farcela si trova. Seguiti dall’appello nella stessa serata, rilanciato anche sui siti online dei giornali di Ezio Greggio che dice alla «mamma» di riprendersi il suo piccolo perché un bambino ha bisogno di sua madre e un’altra non sarà mai quella «vera». «Torna all’ospedale dove c’è tutto il reparto che ti sta aspettando nell’anonimato. Torna ti prego, questo bambino è fantastico, non è giusto che sia abbandonato …Si merita una mamma vera e non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera Ci contiamo, ci conto tanto, un bacione». Hanno idea, viene da chiedersi, della violenza di tali messaggi che spacciano per calore umano?

Questi maschi pieni di saggezza e bonomia dicono che l’aiuteranno, che le daranno dei soldi, promettono di sostenerla in ogni modo come se crescere un figlio sia solo un problema economico, sfoderando quell’attitudine maschile a decidere per la donna come sempre è stato, che stabilisce persino cosa è essere madre -nel discrimine tra la madre «vera» e quella «finta», anche se poi ieri dopo le polemiche Greggio ha corretto il tiro definendo le madri adottive «fantastiche» – .e che tortura la persona in questione alimentando i suoi sensi di colpa, come se ne avesse bisogno.

E questo senza parlare delle centinaia di donne che ogni anno partoriscono in ospedale nell’anonimato, come garantito dal DPR 396/2000, e non riconoscono il proprio figlio – molte sono italiane – per disagi economici, sociali o psichici, timore di perdere il lavoro, gravi problemi di salute del bambino che questi neo-paladini della maternità sembrano ignorare completamente.

Tale paternalismo dei buoni sentimenti rivela una visione patriarcale ancora così ben viva e solida da inquietare. In cui l’apparente corsa alla solidarietà maschera piuttosto una mancanza totale di rispetto verso la donna e i suoi stati d’animo, per la sua fragilità, e per quanto può portarla a una decisione che è così pesante. Un patriarcato attento più ai suoi ruoli per il quale «l’aiuto» suona francamente come un atto caritatevole spettacolare lontano da una qualsiasi vera attenzione.