Si può dire tranquillamente che, almeno per il momento, il tentativo di bloccare il Portogallo da parte dei Coletes amarelos fissato per la giornata di ieri è stato un fallimento totale. In nessuno dei nodi sparsi per il Paese il movimento che voleva importare le strategie dei Gilet jaune ha più che tanto impensierito cittadini, polizia e governo.

Una premessa è necessaria per capire un contesto molto differente da quello a cui si sta assistendo in Europa e fuori dall’Europa. Primo: con il nascere del movimento dei Gilet jaune in Francia nelle reti sociali portoghesi ha cominciato a farsi strada un progetto di rivolta contro il governo delle sinistre guidato da António Costa. Simili nelle tattiche di lotta il movimento dei Coletes amarelos è in realtà molto differente da quello transalpino, avendo legami organici negli ambienti dell’estrema destra.

Secondo: in Portogallo non esistono partiti populisti, né di estrema destra né di estrema sinistra. Detto questo non vuol dire che non esista nell’opinione pubblica un terreno fertile su cui possa essere innestata una formazione di carattere populista (antiliberale, sovranista e antieuropea). Un Paese profondo nel quale l’antipolitica di destra, dai tratti autoritari, ha un certo radicamento. Tuttavia questo sentimento resta, al momento, inespresso, andando a ingrossare quell’oceano molto ampio dell’astensione (circa il 45%). Così l’unico partito di estrema destra, il Partido Nacional Renovador, ha un seguito praticamente nullo, poco meno di 30 mila voti, lo 0,5%.

Terzo: il consenso al governo Costa è molto elevato segno che politiche popolari sono, per il momento, il miglior antidoto contro il populismo.

Quindi perché tanto clamore? Intanto perché, per parafrasare Ernesto Laclau, domande popolari intorno a cui aggregare una possibile “rivoluzione” populista in Portogallo ce ne sono parecchie. Una sembra avere avuto nelle reti sociali più peso di altre: l’aumento del salario minimo a 900 euro nella vicina Spagna (in Portogallo il salario minimo è di 600 euro per il settore privato e 635 per il pubblico). Poi ci sono i piccoli imprenditori che chiedono una diminuzione delle tasse, soprattutto sulla benzina, ma anche l’Iva e i pedaggi su alcune strade. Queste, in sintesi, le variegate e contraddittorie istanze dei Coletes amarelos, nulla per cui non si sia, almeno in parte, protestato, scioperato, lottato in questi ultimi mesi e anni.

Un tratto comune tra chi ha animato e partecipato al Bloqueio sembra essere quello di appartenere al settore privato (sia come imprenditori piccoli e medi che come lavoratori parasubordinati). È un fatto che tra pubblico e privato ci sia una disparità profonda di trattamento: in termini di precarietà, di assistenza sanitaria, di stipendi e di orari di lavoro. Una questione mai risolta da cui non stupisce nascano ciclicamente rancori. Quando si parla di Coletes amarelos ci si riferisce a questo pezzo di società – che non è da confondere con la maggioranza silenziosa – certamente non benestante, anzi, spesso molto povero, disperso e in parte abbandonato.

E poi ci sono i media a stabilire quando è necessario spingere sull’acceleratore e quando no. La destra moderata portoghese è in crisi e in alcuni settori sembra emergere la consapevolezza che l’unica possibile via di uscita dal governo delle sinistre sia quella di scommettere sull’estrema destra, in linea con quanto succede in altri paesi. Così, anche se fin da subito era chiaro che i numeri della protesta sarebbero stati irrilevanti, la copertura di giornali e telegiornali è stata forte, sproporzionata. Alcuni giornalisti sono arrivati a paragonare i Coletes amarelos al movimento del Que se lixe a Troika, gli indignati portoghesi che, radicati a sinistra, per mesi hanno percorso tutto il Paese portando in piazza milioni di persone.

Infine un ultimo elemento, quello più inquietante: l’idea cioè che «prima o poi accadrà» perché è successo pure nella vicina Spagna che si credeva immune. Già, perché ciò che sappiamo è che il contagio dell’estrema destra si muove rapidamente e in modo inaspettato, una strategia che appare unica anche se articolata intorno a parole d’ordine non sempre uguali.