Sarebbe una questione politica e non giuridica l’inazione dello Stato dinanzi alla crisi climatica. Motivo per cui il primo contenzioso climatico contro lo Stato italiano si è concluso con un nulla di fatto. A intentarlo sono stati 203 attori, tra cui 24 associazioni (A Sud capofila) e 179 individui, di cui 17 minori, sulla scorta di altri contenziosi avvenuti in Europa e a differenza del caso italiano accolti. La giudice Assunta Canonaco, della seconda sezione del Tribunale civile di Roma, ha dichiarato inammissibili le richieste poste per difetto assoluto di giurisdizione.

LA CAUSA È INIZIATA il 5 giugno 2021, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, inserendosi nella campagna nazionale Giudizio Universale. Tra gli aderenti figurano la Società meteorologica italiana, presieduta dal climatologo Luca Mercalli, l’associazione Terra!, il Coordinamento nazionale No Triv, il Centro documentazione conflitti ambientali e l’associazione Medici per l’ambiente Isde Italia.

La richiesta dei ricorrenti non è stata un risarcimento economico, ma la riduzione delle emissioni di CO2, richiamando – in via preventiva – l’articolo 2043 del Codice civile, ovvero il risarcimento per fatto illecito. Alla base di tale assunto vi sarebbe il principio di neminem laedere, cioè il divieto di ledere il diritto dell’altro. Sulla scorta di una sentenza della Corte Costituzionale del 1987 e di altre pronunce successive, il suddetto articolo varrebbe anche in via preventiva, ovvero prima che il danno sia definitivo allorquando vi siano beni fondamentali inerenti la persona.

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I RICORRENTI AVEVANO RICHIESTO di dichiarare lo Stato responsabile «di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica» e di obbligarlo a «mettere in atto tutte le misure necessarie a garantire la stabilità climatica, innalzando in maniera adeguata i target di riduzione delle emissioni». Tuttavia nella sentenza si ritiene «la questione delicata e complessa». La competenza in materia – si legge – è «tradizionalmente riservata alla politica». In Italia – a differenza di altri Paesi dell’Ue – non esisterebbero tribunali idonei a dirimere questo genere di richieste.

«SECONDO IL TRIBUNALE – dichiara Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud – nessun giudice italiano può tutelare i diritti fondamentali minacciati dalla inefficienza delle politiche climatiche dello Stato, come avvenuto in molti paesi europei. È una scelta di retroguardia – dice – continueremo a batterci per vedere le nostre istanze accolte e il diritto al clima riconosciuto».

Ha avuto un esito diverso il contenzioso sul clima intentato in Olanda, chiamato Urgenda. In quel caso a dicembre 2019 la Corte Suprema ha condannato lo Stato a ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera del 25 % entro la fine del 2020 e del 40 % entro il 2030. È seguita la pronuncia del Tribunale amministrativo di Parigi a febbraio 2021, che ha riconosciuto la responsabilità omissiva dello Stato in relazione agli impegni sul clima. E, ad aprile 2021, la Corte Costituzionale tedesca si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019.

«I TRIBUNALI ITALIANI NON DOVREBBERO sottrarsi – fa sapere Marjan Minnesma, direttrice della fondazione olandese Urgenda – al loro dovere costituzionale: dovrebbero seguire le orme di quei tribunali che già hanno indicato la strada, assicurando che i governi rispettino i loro obblighi giuridici e mantengano gli impegni presi per affrontare l’emergenza climatica».

Critico anche il climatologo Luca Mercalli sull’esito della causa: «Che l’Italia non stia facendo abbastanza per ridurre le emissioni è sotto gli occhi di tutti; che la politica non ascolta la scienza né i cittadini anche. In molti paesi i tribunali hanno fatto la differenza, peccato che in Italia si sia persa questa importante occasione e tempo prezioso».

Secondo gli avvocati di Rete Legalità per il Clima, che hanno seguito il contenzioso, «la sentenza, per un verso, si pone palesemente in contrasto con la Carta dei Diritti fondamentali dell’Ue e con la Cedu, per l’altro è anche contraddittoria, perché, da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’altro, però, statuisce che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale. Sussistono – dicono – tutti i presupposti per impugnarla».

LA RIDUZIONE DI EMISSIONI DI CO2 è già un obbligo per lo Stato italiano. Lo prevede la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite del 1992, recepita anche dal nostro Paese. Lo prevedono inoltre gli accordi sul clima siglati nel corso degli anni. Secondo il rapporto del centro studi internazionale Climate Analytics, citato dai ricorrenti, «l’Italia dovrebbe ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030». Che sia urgente agire lo ha riconosciuto peraltro lo stesso tribunale di Roma.