Sul Clima denunciamo il governo al Tribunale costituzionale di Karlsruhe». Luisa Neubauer, 24 anni, leader del Fridays for Future in Germania, non fa sconti alla cancelliera Angela Merkel troppo poco impegnata nella «svolta verde» pure promessa ufficialmente.

Ieri a Berlino ha confermato l’atto politico per «cambiare l’attuale legge sul clima» e soprattutto i tre clamorosi procedimenti giudiziari firmati da Greenpeace, Germanwatch e Associazione tedesca per la protezione del Clima pronti per essere spediti alla cancelleria dell’Alta Corte.

Nel nome della battaglia legale avviata lo scorso 18 ottobre da tre famiglie di agricoltori di Berlino, la cui prima denuncia era stata rigettata dal giudice distrettuale della capitale.

«Non c’è più tempo per le nuove generazioni» taglia corto Neubauer, irriducibile al punto da avere respinto al mittente l’offerta di una poltrona nel consiglio di amministrazione della nascente divisione “Energy” di Siemens «per non compromettere la mia indipendenza».

Una nuvola nera sulla Grosse Koalition che potrebbe, davvero e per la prima volta, essere chiamata dai magistrati a “deporre” sui devastanti effetti del cambiamento climatico e sulle mancate contromisure.

Un caso speculare alla «madre di tutte le battaglie ambientali» raccontata sull’ultimo numero dell’ExtraTerrestre da Marjan Minnesma che ha trascinato in tribunale il governo di Amsterdam obbligandolo a varare concrete misure per risolvere l’emergenza clima.

Nell’attesa del processo al governo Merkel, sui media locali non si spegne lo scontro frontale fra la leader dei Fridays for Future e i colossi del made in Germany concentrati «unicamente al profitto». A partire da ciò che a Berlino è già stata battezzata come Klimakrieg (guerra del clima) fra Neubauer e il numero uno di Siemens, Joe Kaeser. Il gran rifiuto della giovane attivista di Amburgo alla proposta “indecente” della multinazionale di Monaco è stato accompagnato dal suggerimento all’amministratore delegato a «pensare, piuttosto, al progetto ferroviario di Siemens per la miniera di Adani in Australia» che proprio ora è divorata dalle fiamme.

Per il Fidays For Future tedesco l’uscita della Bundesrepublik dal carbone rappresenta la priorità immediata, mentre la GroKo sta ancora trattando il canovaccio del pre-accordo con i governi dei Land dipendenti dal fossile e con le potentissime industrie del settore. A riguardo, Siemens non sembra avere la minima intenzione di abbandonare gli attuali piani logistici, soprattutto in Oceania. Per questo lunedì scorso da Francoforte a Berlino, da Colonia ad Amburgo, da Düsseldorf a Darmstadt, migliaia di attivisti si sono mobilitati contro la partecipazione dell’azienda tedesca nell’ennesimo progetto minerario che produrrà, in primis, la devastazione ambientale.

«Siamo scesi in piazza, più rumorosi che mai perché Siemens ci sta letteralmente rubando il futuro» è l’analisi dei portavoce della campagna contro la miniera nel Queensland che – come se non bastasse – viola anche i diritti delle tribù aborigene Wangan e Jagalingou, come denuncia da mesi l’Associazione dei popoli minacciati. Da dieci anni lottano contro il mostro anche tedesco destinato a fagocitare ciò che resta della loro “terra sacra”.

Per il fabbisogno dell’impianto tarato sulla maxi-estrazione di 60 milioni di tonnellate di carbone all’anno è previsto il prelievo di 12,5 miliardi di litri d’acqua dal fiume Suttor. Impossibile da accettare in Germania dove il riscaldamento globale è al primo posto delle preoccupazioni dei cittadini prima di lavoro e immigrazione. Ancora meno da parte dei Fridays for Future guidati da Neubauer (che fa parte anche dell’organizzazione giovanile dei Verdi) convinta che «la fine dell’estrazione di petrolio, gas e carbone e l’inizio di una società ricca, felice e senza emissioni di CO2» passi inevitabilmente per il «ripensamento della democrazia».