Ieri, nella seconda giornata del summit globale sul clima, il presidente Biden ha puntato sui risvolti economici di una riduzione delle emissioni: la lotta ai cambiamenti climatici, ha detto ai leader collegati in video, «è l’opportunità di creare milioni di posti di lavoro ben pagati nel mondo. È una sfida per ogni Paese, creare una nuova industria e investire in innovazione accelerando lo sviluppo delle tecnologie».

Il nuovo e ambizioso obiettivo di Biden di dimezzare le emissioni di carbonio degli Stati uniti entro il 2030 è l’ultimo grande argomento della sua agenda progressista e potrebbe complicare non solo i rapporti in casa, con l’opposizione repubblicana, ma anche le relazioni con la Cina.

SUPPONENDO CHE BIDEN riesca a fare passare il suo piano per le emissioni, quando la prossima settimana lo presenterà al Congresso, il confronto con Pechino è tutto un altro capitolo: i due Paesi sono i maggiori inquinatori di carbonio del mondo, insieme rappresentano quasi il 45% delle emissioni globali di combustibili fossili ed entrambi hanno dichiarato di voler seguire a breve termine una rotta aggressiva per ridurre le emissioni inquinanti.

SOLITAMENTE LA CRISI climatica è un’opportunità per i Paesi di collaborare, ma si teme che questa specifica collaborazione possa non sfuggire alle tensioni presenti in altre aree delle relazioni bilaterali fra Stati uniti e Cina. Rispetto a tecnologia, commercio, geopolitica, difesa e ad altre aree dove lo scontro è sempre più teso, il cambiamento climatico è un problema in cui il disaccoppiamento è meno probabile: consente più spazio per accordi, cooperazioni e potenzialmente anche leadership congiunta sulla scena mondiale.

Questo vertice sul clima guidato dagli Stati uniti è il primo incontro di questo tipo per Xi Jinping e Biden da quando quest’ultimo è presidente e prima dell’evento John Kerry, l’inviato presidenziale speciale Usa per il clima, ha incontrato i suoi omologhi cinesi a Shanghai, dove le due parti hanno deciso di cooperare per affrontare con urgenza la crisi climatica.

Nonostante ciò, mentre si svolgeva il vertice, il tabloid statale cinese Global Times ha criticato la spinta bipartisan degli statunitensi per contrastare la Cina nelle aree dei diritti umani, la concorrenza economica e la tecnologia, accusandoli di «creare uno scontro (che) si ritorcerà contro gli Stati uniti». E ha sollecitato Washington a «mettere da parte il suo sogno egemonico e la mentalità da guerra fredda».

MENTRE IN SOTTOFONDO si avvertiva questa lotta per la leadership, in primo piano sono rimaste le risoluzioni prese dai Paesi coinvolti Il primo ministro britannico Boris Johnson ha definito il nuovo obiettivo degli Stati uniti un «cambio di gioco» e altri due Paesi hanno assunto nuovi impegni.

Il primo ministro Yoshihide Suga, che questo mese ha visitato Biden alla Casa bianca, ha innalzato l’obiettivo del Giappone di riduzione delle emissioni dal 26% al 46% entro il 2030, anche se i movimenti ambientalisti avrebbero voluto un impegno di almeno il 50%, mentre la potente lobby imprenditoriale giapponese spingeva verso l’implementazione di politiche nazionali a favore del carbone. Il premier canadese Justin Trudeau ha innalzato gli obiettivi del suo Paese a un taglio del 40%-45% entro il 2030 rispetto agli impegni del 2005, del 30%.

Resta da vedere se questo successo internazionale di Biden avrà ripercussioni in casa e riuscirà a convincere il Congresso a passare ai fatti. La portata dei piani ambientalisti del presidente mostra la determinazione a usare il suo potere per forgiare un’eredità da riformatore di tutta una generazione.

I SUOI SOSTENITORI lo hanno già messo in compagnia dei grandi presidenti democratici come Franklin Roosevelt e Lyndon Johnson, ma per meritarselo Biden dovrà far approvare un programma che mira a rivedere gran parte dell’economia a beneficio dei lavoratori americani e che sta per colpire un muro di opposizione repubblicana a Washington.