Complice il vento, sulla città di Civitavecchia domenica 22 gennaio è tornata ad allungarsi una nube di vapore e sostanze inquinanti, come non accadeva da tempo. Da quando, in autunno, è diventato operativo il decreto del governo Draghi che stabilisce la riapertura delle vecchie centrali a carbone, quella di Torrevaldaliga nord è tornata a sbuffare come ai vecchi tempi. Ancora prima che tornasse a pieno regime, è ripreso il via vai delle ancora più inquinanti navi carboniere, riconoscibili dalle nuvole nerastre che macchiano il cielo in maniera innaturale. Già ai primi di marzo, dopo l’invasione dell’Ucraina e l’annuncio del primo ministro Mario Draghi che l’apertura delle centrali a carbone sarebbe stata prorogata, l’impianto di Civitavecchia aveva cominciato a fare scorta di fossili in vista di un incremento della produzione. Nel 2021, nel porto cittadino erano state movimentate 1,7 tonnellate di carbone. Nei primi sei mesi del 2022 la cifra è raddoppiata e alla fine dell’anno è sestuplicata. «Prima dello scoppio della guerra, nei piani dell’Enel erano previste circa 700 mila tonnellate di carbone all’anno, ora sono passate a 4,5 milioni, sei volte di più», ha detto il presidente dell’Autorità portuale Pino Musolino.

IL CONFLITTO TRA RUSSIA E UCRAINA ha cambiato gli scenari energetici del nostro paese. Il 25 febbraio, il giorno dopo l’invasione, in un’informativa urgente alla Camera il premier Draghi ha ventilato la possibilità di una riapertura provvisoria delle sette centrali a carbone italiane «per colmare eventuali mancanze nell’immediato». Si tratta degli impianti di La Spezia, chiuso alla fine del 2021, di quelli sardi di Fiume Santo e Portovesme, di Brindisi, Fusina a Venezia e Monfalcone in Friuli. Di fronte all’emergenza, il progetto di riconversione alle rinnovabili annunciato appena due giorni prima dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti è passato in secondo piano. L’ex segretario del Partito democratico aveva annunciato la fine dell’era del carbone a Civitavecchia e la conversione della centrale alle fonti rinnovabili, come chiedevano associazioni ambientaliste, comitati cittadini e la Cgil. Il progetto prevede la costruzione di un parco eolico offshore che dovrebbe portare alla creazionedi 1200 posti di lavoro.

A ottobre l’Enel lo ha confermato, ma nel frattempo la centrale ha ripreso a funzionare a pieno regime e, per produrre elettricità, ha bisogno di carbone. Così, Civitavecchia è tornata a un passato che sembrava superato.

DA ALLORA È AUMENTATO il numero e la frequenza delle navi carboniere davanti al porto di Civitavecchia. «Sono la causa maggiore dell’inquinamento da queste parti», spiega Riccardo Petrarolo, uno dei protagonisti della battaglia per la riconversione alle rinnovabili. Secondo uno studio del Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario nazionale, dell’Arpa del Lazio e dell’Asl Roma 1, vi sarebbe un nesso tra l’aumento di malattie respiratorie e tumori tra i cittadini e il traffico navale. Ne sarebbero responsabili le carboniere e pure le navi da crociera, che utilizzano olio combustibile pesante, un prodotto di scarto della raffinazione vietato in molte parti del mondo. Ognuna di esse ne brucia fino a 150 tonnellate al giorno, l’equivalente di un milione di automobili.

Poi c’è la centrale. Nonostante la copertura dei carbonili, che non permette alla polvere nera di andare nell’atmosfera e posarsi su abitazioni e campi coltivati, e i filtri per bloccare le sostanze più inquinanti, rimane la prima in Italia per emissioni di gas serra e la quattordicesima in Europa. Perciò, secondo un rapporto dell’associazione Transport&Environment, Civitavecchia è la seconda città costiera italiana più colpita da questo tipo di inquinamento, la quarta in Europa.
«Siamo coscienti del fatto che pagheremo un prezzo nei prossimi tre anni, perché la centrale a carbone ora è al massimo regime, vediamo ogni giorno le navi carboniere, vediamo ogni giorno quali sono i livelli di emissione e siamo consapevoli che dovremmo fare questo sacrificio fino al 2025, però non siamo disposti a derogare a quella data», ha spiegato Ismaele De Crescenzo, un attivista di Civitavecchia bene comune.

Il sindaco leghista Ernesto Tedesco si è detto «scettico» sul fatto che entro quella data la conversione possa essere avviata e ha chiesto al governo, insieme ai primi cittadini degli altri comuni che ospitano le centrali a carbone, delle «compensazioni» e «misure di ristorno», come la riduzione delle bollette ai cittadini.

MOLTO DIPENDERÀ DALLA DURATA del conflitto in Ucraina, anche se la Commissione europea ha mantenuto la data del 2025 per la fine del carbone in Europa. A Civitavecchia, una cartina di tornasole saranno le elezioni regionali del 13 e 14 febbraio. Il progetto del parco eolico è uno dei fiori all’occhiello della giunta di centrosinistra. A metà novembre la giunta ha approvato il piano per la transizione ecologica 2022-2026, che prevede la nascita nella città portuale del primo Distretto di energie rinnovabili del Lazio, composto da un parco eolico offshore di 270 megawatt, il primo d’Italia e del Mediterraneo, di un impianto a idrogeno da 113 megawatt e un terzo fotovoltaico da 655 megawatt. «Si tratta di un progetto che potrà generare oltre tremila nuovi posti di lavoro per i tre anni di impianti, di cui 1.200 per la produzione e 601 per la loro installazione, ai quali si aggiungeranno per gli anni successivi quelli derivanti da tutto l’indotto», ha dichiarato durante la presentazione l’Assessora alla Transizione ecologica Roberta Lombardi, del Movimento 5 Stelle. «Se riusciamo a costruire qui anche le pale eoliche, daremo ancora più lavoro», dice la segretaria della Cgil Stefania Pomante.

Il candidato del centrodestra, l’ex presidente della Croce Rossa Francesco Rocca, che i sondaggi danno per favorito, il 23 dicembre è andato a presentare la sua candidatura a Civitavecchia. Ha parlato di sanità, rifiuti e trasporti. Ha taciuto sulla centrale e sulla sua riconversione.