La quantità di uranio impoverito rilevata recentemente nei tessuti di due cittadini serbi morti a causa di gravi patologie tumorali, è risultata essere più di cinquecento volte superiore rispetto alla media. Si tratta della stessa abnorme quantità rilevata in moltissimi ex-militari italiani che hanno prestato servizio nelle missioni in Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan e nei poligoni Nato: di questi almeno quattrocento sono morti e oltre 8.000 si sono gravemente ammalati.

A rivelarlo in esclusiva per il manifesto è la dottoressa Rita Celli che da quindici anni supporta con le sue perizie tecniche le arringhe dell’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, consulente legale dell’Associazione Nazionale Vittime dell’Uranio Impoverito. In vent’anni di cause risarcitorie intentate contro il Ministero della difesa italiano ed oltre trecento sentenze favorevoli messe a segno, Tartaglia e la Celli hanno di fatto trasformato in giurisprudenza la correlazione causale tra esposizione all’uranio impoverito ed insorgenza di gravi patologie tumorali. Un caso unico in Europa e nel mondo.

I risultati delle recenti perizie della dottoressa Celli, eseguite presso i laboratori del dipartimento di biotecnologie molecolari dell’Università di Torino, rappresentano un passaggio fondamentale per le cause intentate contro la Nato in Serbia e sono la conferma scientifica della stretta correlazione tra civili e militari serbi ed italiani colpiti dall’”epidemia da uranio impoverito” scatenata dalla Nato anche nei Balcani a seguito di quasi un decennio di “bombardamenti umanitari”. Solo in Serbia le vittime sono decine di migliaia, catapultando questo Paese al primo posto in Europa per numero di malattie oncologiche.

Dottoressa, come le sono arrivate le richieste di accertamento sulla presenza di metalli pesanti nei tessuti dei due cittadini serbi?
Nel giugno di quest’anno mi sono recata personalmente in Serbia, accompagnando l’avvocato Tartaglia. La curiosità scientifica era molto intensa. Ho potuto verificare di persona lo stato dei luoghi e raccogliere direttamente le testimonianze della popolazione. In funzione delle attuali necessità giuridiche dell’avvocato Tartaglia, ho acquisito il materiale biologico da sottoporre a indagine di laboratorio direttamente dalle vedove dei due cittadini serbi: un ufficiale della milizia serba e un civile. Entrambe mi hanno fornito anche gli indispensabili dati tecnici.

Con le sue perizie ci troviamo di fronte alla conferma, anche in Serbia, che l’uranio impoverito usato dalla Nato è la causa diretta di una strage silenziosa ancora in corso. Quali saranno i prossimi passi?
Nei prossimi mesi l’intenzione è quella di incrementare i dati preliminari emersi oggi attraverso ulteriori analisi da effettuarsi su matrici biologiche di militari e civili serbi. I risultati che mi sento di predire saranno purtroppo di conferma, permetteranno di dimostrare la correlazione tra l’impiego di armamenti DU-core, ovvero contenenti uranio impoverito nei penetratori, e lo sviluppo di un numero abnorme di patologie neoplastiche nella popolazione serba, sia civile, sia militare.

Nel frattempo la Nato, in una memoria recapitata all’Alta corte di Belgrado ha dichiarato che “…non parteciperà ai processi e si aspetta che lo status, i privilegi e le immunità di cui gode l’Organizzazione siano pienamente accettati dalle autorità serbe inclusi i tribunali…”. Che effetto le fa trovarsi di fronte al principale indiziato che, nonostante le evidenze scientifiche, pretende per sé l’impunità?
Di fronte ad evidenze scientifiche di tale portata, la cui rilevanza non può essere semplicemente ignorata o sottaciuta, né tanto meno può essere aggirata la correlazione causale, non si nutrono dubbi sul “buon senso” dei giudicanti serbi, noti a livello mondiale per un più che elevato livello di cultura giuridico.

Torniamo in Italia dove i tribunali di ogni ordine e grado, grazie al lavoro dell’avvocato Tartaglia, stanno sistematicamente inchiodando il Ministero della difesa alle sue responsabilità per quella che le vittime italiane dell’uranio impoverito non esitano a definire “strage di stato”. Lei ha contribuito ad aprire un varco nel muro di gomma eretto dal Ministero. Pensa che l’atteggiamento omissivo degli alti vertici militari potrà durare ancora a lungo?
Man mano che il numero dei risultati cresce, via via che le conferme scientifiche si affastellano e si rafforzano dal punto di vista statistico, si assottiglia sempre più il cono d’ombra discrezionale utilizzato dal Ministero della difesa, che in ultimo si troverà costretto ad affrontare le proprie responsabilità. Oggi, con i primi risultati ottenuti sulle matrici dei due cittadini serbi deceduti per le conseguenze di gravi patologie tumorali, siamo in possesso della conferma diretta che il drammatico bioaccumulo di metalli pesanti ha avuto, ha tutt’ora, e avrà nell’immediato futuro, una pesante ricaduta sulla salute della popolazione militare italiana immessa in teatri operativi fuori area e/o impiegata in poligoni dove i test di armi non convenzionali, da sempre, sono pratica quotidiana. I fattori di rischio identificati attraverso questa metodica di indagine sono il filo rosso che unisce le attività “non protette” svolte dal nostro personale militare e lo sviluppo di patologie oncologiche.