Sulla Nuova via della Seta della Cina sono stati scritti migliaia di articoli e centinaia di libri: è stato descritto come progetto geopolitico, infrastrutturale, egemonico. L’analisi di ogni aspetto del piano di Xi Jinping è legittimo e importante, per comprenderne ogni ambito, eppure ogni volta pare manchi qualcosa. Una visione che si concentra su un solo elemento, infatti, sembra costantemente far perdere di vista sia il piano complessivo, sia lo scopo ultimo delle autorità cinesi. In Finanza e potere lungo le Nuove vie della Seta (prefazione di Paola Subacchi, Egea, pp. 168, euro 17) Alessia Amighini che insegna Politica economica presso l’Università del Piemonte orientale e condirettore dell’Asia Centre, fornisce invece un quadro complessivo, finalmente esaustivo, concentrando poi la propria attenzione sugli aspetti finanziari del progetto.

NEL VOLUME si trova la migliore descrizione delle nuove vie della Seta, il loro disegno globale e le tante diramazioni sia geopolitiche sia finanziare (che molto spesso coincidono). Assodato lo scopo di riversare su mercati diversi il surplus manifatturiero, sviluppando altresì relazioni privilegiate con alcuni dei paesi attraversati dai vari nodi della via della seta (terrestre, marittimo, artico), Amighini punta l’attenzione su uno degli aspetti più rilevanti dell’attuale postura cinese.

Il grande sogno di Xi è l’internazionalizzazione dello yuan, ed è questo l’ambito specifico che Amighini si preme di dettagliare, fornendo una panoramica di tutte le leve che Pechino sta muovendo in questa direzione. Via della Seta compresa: in primo luogo – scrive Amighini – «le istituzioni finanziarie cinesi hanno fornito l’equivalente di più di 440 miliardi di dollari per la Bri, tra cui oltre 320 miliardi di renminbi incanalati attraverso i canali preposti alla circolazione estera del renminbi. Il mercato cinese dei capitali ha fornito oltre 500 miliardi di renminbi in finanziamenti azionari per le imprese interessate. Inoltre i paesi e le imprese Bri hanno raccolto più di 65 miliardi di renminbi emettendo panda bond nel mercato cinese, cioè titoli obbligazionari denominati in renminbi, emessi da emittenti con sede al di fuori della Rpc. In secondo luogo, i servizi finanziari sono diventati più sofisticati. Alla fine del 2018, undici banche cinesi hanno aperto 76 filiali in 28 paesi lungo la Bri e circa cinquanta banche in 22 paesi della Bri hanno attività commerciali in Cina. Esse forniscono una più ampia varietà di prodotti e servizi finanziari, tra cui credito, garanzie, sottoscrizione di obbligazioni».

ALLARGANDO IL QUADRO, dal particolare riferimento finanziario presente nel progetto cinese si plana verso lo scopo ultimo, ovvero l’internazionalizzazione del renminbi «considerata, da molti economisti, politici e gestori di fondi, il prossimo grande traguardo della Cina nel mondo»: si tratta di un disegno «complesso, frutto di una visione di lungo periodo e di una combinazione articolata di tasselli che presi singolarmente non hanno una valenza particolarmente dirompente, ma nel loro insieme costituiscono un piano ingegnoso» di cui Amighini tratteggia i punti cardine in modo comprensibile anche a chi non mastica finanza ogni giorno.
Un particolare riferimento, infine, allo yuan digitale ormai sperimentato in molte città cinesi. Anche in questo caso la tensione cinese è all’internazionalizzazione della propria moneta e non solo al desiderio dello Stato di inserirsi nel lucroso business dei pagamenti online: per diventare una vera e propria valuta globale, infatti, «il renminbi deve aumentare la propria capacità di essere utilizzato come valuta di fatturazione e di pagamento nel commercio internazionale».