Cina e Unione europea si parlano, ma usano lingue a tratti diverse. Il primo summit bilaterale in presenza dal 2019 si è concluso, come previsto, senza dichiarazione congiunta né accordi. L’arrivo a Pechino di Ursula von der Leyen e Charles Michel, presidenti di Commissione e Consiglio europei, era stato anticipato da qualche segnale di distensione cinese: prima la fine alla guerra commerciale contro la Lituania, poi il via libera unilaterale alla politica di viaggi senza visto per i passaporti dei principali paesi europei, Italia compresa. Ma sul tavolo non c’era un obiettivo concreto da poter raggiungere, a differenza del summit di San Francisco quando Xi Jinping e Joe Biden hanno potuto sbandierare la ripresa del dialogo militare.

Il minimo comune denominatore è che entrambe le parti hanno riaffermato il rifiuto del disaccoppiamento economico e la necessità di cooperare su alcuni dossier, tra cui cambiamento climatico, aiuti umanitari a Gaza e (a sorpresa) l’intelligenza artificiale.
Sul fronte commerciale il confronto è stato «intenso», ha ammesso von der Leyen. «Siamo partner importanti, con 2,3 miliardi di euro di scambi di merci al giorno. Ma l’Ue ha un deficit commerciale di quasi 400 miliardi, la relazione è criticamente e strutturalmente squilibrata». Bruxelles ha chiesto di tenere sotto controllo l’eccesso di capacità produttiva, col timore che il rallentamento economico possa portare a minori consumi interni e a maggiori esportazioni di prodotti a basso costo. Non a caso è stata menzionata la questione dei veicoli elettrici: l’Ue indaga sui sussidi e paventa nuovi dazi.

Pechino ha ribattuto criticando quelle che ritiene pratiche protezionistiche. «Ci opponiamo alle violazioni dei principi fondamentali dell’economia di mercato e alla politicizzazione delle questioni commerciali», ha ammonito il premier Li Qiang. Secondo la Cina, l’Ue utilizza un concetto troppo ampio di sicurezza nazionale anche per seguire la linea degli Stati uniti. Non a caso auspica una maggiore «indipendenza strategica», anche perché Cina e Ue non hanno «differenze insormontabili».

Von der Leyen ha poi chiesto a Xi di esercitare maggiore influenza sulla Russia per rispettare l’integrità territoriale ucraina, Michel ha invece domandato più controllo su «una lista di aziende cinesi» che potrebbero aiutare Mosca ad aggirare le sanzioni. Solo due giorni prima, Xi aveva però criticato le sanzioni occidentali contro la Bielorussia ricevendo Aleksandr Lukashenko.

L’Ue si è detta anche «preoccupata» per le tensioni sullo Stretto di Taiwan e mar Cinese meridionale, ma sui media cinesi resta il riconoscimento della politica della «unica Cina» e il rifiuto del disaccoppiamento. Pechino cercava garanzie sul perimetro della riduzione del rischio, von der Leyen ha spiegato che non è il primo passo verso il disaccoppiamento, né una strategia rivolta solo alla Cina. Il test sulle auto elettriche rischia però di dare vita a una battaglia commerciale.

Xi ha invece chiosato esortando Cina e Ue ad «affrontare insieme le sfide globali» e a «escludere interferenze di ogni tipo» nelle loro relazioni. Chissà, forse un implicito riferimento all’uscita dell’Italia dalla Via della Seta, che secondo Pechino è avvenuto sotto pressing degli Usa. Tema rimasto fuori anche dal summit, ma menzionato durante la conferenza stampa quotidiana del ministero degli Esteri: «La Cina si oppone fermamente ai tentativi di infangare e sabotare la cooperazione della Belt and Road o di alimentare il confronto e la divisione tra blocchi», ha detto il portavoce Wang Wenbin senza citare esplicitamente l’Italia.