«La Cina sarà una forza globale per la pace e la stabilità». A parlare è il ministro degli Esteri Wang Yi, nell’attesa conferenza stampa annuale sulla diplomazia cinese durante le riunioni delle “due sessioni”. Un appuntamento a cui Wang è abituato dal 2013, anche se l’anno scorso al suo posto c’era Qin Gang, fedelissimo di Xi Jinping poi caduto in disgrazia e rimosso per motivi mai del tutto chiariti.

Rispetto a un anno fa i toni sono meno apocalittici. «Gli Stati uniti stanno percorrendo una strada sbagliata e devono pigiare il freno, altrimenti ci saranno sicuramente un conflitto e un confronto», ammoniva Qin a marzo 2023, poche settimane dopo la crisi del presunto pallone spia. «Dal summit di San Francisco, le relazioni hanno fatto dei progressi», ammette invece Wang, riferendosi all’incontro dello scorso novembre tra Xi e Joe Biden. Ma non mancano i siluri: «Le promesse fatte non sono state mantenute. I mezzi per reprimere la Cina vengono costantemente aggiornati, l’elenco delle sanzioni unilaterali si allunga continuamente e il desiderio di infliggere punizioni alla Cina ha raggiunto un livello inimmaginabile. Se gli Stati uniti dicono sempre una cosa e ne fanno un’altra, dov’è la loro credibilità?». E poi, con un messaggio rivolto a uditori terzi: «Se gli Usa permettono solo a loro stessi di mantenere la prosperità e non consentono agli altri di svilupparsi adeguatamente, dov’è la giustizia internazionale?».

PER PECHINO, Washington manterrebbe una «mentalità da guerra fredda» che le farebbe perseguire rapporti di forza egemonici attraverso la costruzione di «circoli chiusi» come vengono ormai descritti il G7 o il sistema di alleanze in Asia. Wang esalta invece i legami con la Russia, emblema di un «nuovo paradigma» per le relazioni tra potenze perché poggiano su «basi di non allineamento, non confronto e non attacco contro terzi». Allo stesso tempo, il capo della diplomazia del Partito comunista sostiene che la Cina ha sempre mantenuto una posizione «obiettiva e imparziale» sulla guerra in Ucraina. La nuova missione europea dell’inviato speciale Li Hui non sembra aver ridotto le distanze con l’occidente, convinto che Pechino in realtà sostenga Mosca, ma Wang ribadisce che l’unico obiettivo della Cina «è porre fine al conflitto». Per farlo, appoggia una conferenza di pace a cui partecipino però sia l’Ucraina sia la Russia.

POSIZIONE CHIARA sul conflitto tra Israele e Hamas. «È una tragedia per l’umanità e una vergogna per la civiltà che nel XXI secolo non si riesca a fermare il disastro umanitario a Gaza», dice Wang. «Nessuna ragione può giustificare la continuazione del conflitto e nessuna scusa può assolvere l’uccisione di civili». Secondo Pechino, che chiede la piena adesione della Palestina alle Nazioni unite, solo attuando la soluzione dei due stati si può «spezzare il circolo vizioso ed eliminare il terreno di colture delle ideologie estremiste». Proprio il Medio oriente è una delle regioni in cui il tentativo di proporsi come forza garante di stabilità è riuscito meglio. Ma lo sguardo di Pechino si allarga a tutto il cosiddetto “sud globale”, alle cui forze Wang offre un biglietto di invito ai Brics allargati e alla «accelerazione del processo di multipolarizzazione globale».

TONI NETTI sulle questioni vicine. «Non consentiremo mai la separazione di Taiwan, chi lavora per l’indipendenza dell’isola si brucerà per aver giocato col fuoco». Formule retoriche non nuove, al fianco delle quali riappare (come già nel discorso di Xi del giorno precedente) l’obiettivo della «riunificazione pacifica» non menzionato nel rapporto di lavoro del premier Li Qiang. Sul mar Cinese meridionale, dove nei giorni scorsi c’è stata l’ennesima collisione tra navi cinesi e filippine, Wang invita i paesi al di fuori della regione (ergo gli Usa) a «non creare problemi o diventare piantagrane».

L’anno prossimo al posto di Wang potrebbe esserci Liu Jianchao, ex cacciatore di fuggitivi all’estero e probabile prossimo ministro degli Esteri. La nomina non arriverà però in questi giorni. Le “due sessioni” culmineranno piuttosto con l’approvazione della revisione della legge sul Consiglio di stato, che sfumerà ulteriormente la separazione tra potere esecutivo e partito.