«Abbiamo svolto un ruolo molto importante per inserire i carburanti sintetici nell’accordo di governo. Siamo stati il motore principale, con stretti contatti con i partiti della coalizione. Christian Lindner mi ha tenuto aggiornato quasi ogni ora negli ultimi giorni».
Così Oliver Blume, Ceo di Porsche, alla riunione interna dello scorso 26 giugno; di pubblico dominio grazie al programma «Die Anstalt» della tv pubblica Zdf.
Prima di scusarsi per avere «sbagliato le parole» che tirano in ballo il ministro delle Finanze e leader del partito liberale, e impicciano pure lui: dal 22 settembre Blume sarà il capo di Volkswagen, la prima partecipata statale tedesca controllata dal Land della Bassa Sassonia.
Mediaticamente, tuttavia, è troppo tardi per rettificare la frase memorizzata da milioni di tedeschi. Lindner è un lobbista della casa di Stoccarda? Ha fornito informazioni riservate durante i negoziati di coalizione? Sono le domanda lecite (cioè non querelabili) della stampa nazionale e precedono la replica del portavoce di Fdp: «Non c’è stato alcun contatto tra Lindner e Blume. Solo un breve telefonata nel 2021 sui carburanti sintetici».
Eppure la Zdf conferma le parole di Blume facendo sapere di averne le prove e innescando così la denuncia politica della Linke: «Non può essere che il capo di Porsche fosse apparentemente più informato sullo stato dei negoziati di coalizione rispetto al resto dei cittadini. Sarebbe una minaccia alla democrazia. Questa questione ha almeno una macchia», chiosa il capogruppo Jan Korte.
Nel caso dei cosiddetti «E-Fuel» l’interesse pubblico oltrepassa i confini nazionali: in pieno accordo con l’Unione europea il governo Scholz spinge per vietare i motori termici, ma con la sintomatica eccezione, esattamente, delle auto che funzioneranno con i carburanti sintetici, il salvagente progettato per salvare i motori benzina e diesel.
Mentre a Berlino a fine giugno la Coalizione Semaforo si è spaccata sulla data del veto ai mezzi a combustione: i Verdi vorrebbero anticipare dal 2035 al 2025, se non fosse che si è messo di traverso proprio il ministro Lindner, terrorizzato per l’impatto sull’industria dell’automotive.
In questo quadro deflagra il «Porsche-Gate» che ha riacceso i riflettori sui liberali nel governo. Con Lindner alla guida delle Finanze il partito business-friendly si è rifatto l’immagine istituzionale dopo il passato scandaloso, ben riassunto dal caso del gruppo alberghiero Mövenpick scoppiato 12 anni fa. All’epoca August von Finck, tra gli uomini più ricchi della Germania, aveva donato 1,1 milioni di euro a Fdp, con il risultato che il governo Merkel fece precipitare l’Iva sui soggiorni alberghieri dal 19% al 7%. Tra gli applausi peraltro dei deputati bavaresi: la Csu risultava l’altro beneficiario rilevante del barone degli hotel da cui aveva incassato 820 mila euro.
Influenza senza controllo o quasi. A Berlino ci deve pensare l’Ong «Lobby Control» insistendo sulla trasparenza nelle istituzioni. «Se diventa possibile l’accesso speciale per le grandi imprese ai negoziati di coalizione, la Germania ha un grave problema», sintetizza la portavoce Christina Deckwirth.
Ma dietro al caso emerge il nodo tutto politico: la liaison tra Fdp e Verdi è finita da un pezzo. I liberali puntano a salvare i colossi del made in Germany senza cui la Locomotiva d’Europa non sbuffa più – a partire dal veto sui limiti di velocità nelle Autobahn e dalla pioggia di incentivi su benzina e diesel – gli ambientalisti, invece, continuano a scommettere su ciò che resta della rivoluzione energetica promessa in campagna elettorale che, per adesso, ha solo riportato in vita gas e carbone.
Proprio ora arriva il «Porsche-Gate» che scopre un altro punto dolente. Per produrre gli «E-Fuels» al centro della telefonata tra Blume e Lindner serve un processo chimico energeticamente dispendioso e al contrario del motore elettrico la combustione dei carburanti sintetici non garantisce emissioni zero.