Guy Mettan Russofobia. Mille anni di diffidenza. Introduzione di Franco Cardini, Sandro Teti Editore, 2016, 399 pp.

Forse non tutti lo sanno, ma il mito fondantorso roso?e della russofobia, fu una fake-news antelitteram. Parliamo del “Testamento di Pietro il Grande” di Charles-Louis Lesur, in cui lo zar dichiarava di avere il sogno segreto di dominare l’intera Europa. Il falso testamento travalicò le Alpi e si diffuse in tutta Europa diventando la riprova del carattere intimamente imperialista dell’“animo russo”.

Guy Mettan, in questo libro scorrevole e ben scritto, ripercorre questa e moltissime altre vicende cha hanno portato a consolidare, da Bisanzio all’éra Putin, l’immagine dell’orso russo barbaro, asiatico e dispotico. Il giornalista svizzero riesce ad attraversare un millennio di storia senza mai annoiare il lettore, mantenendo però un rigore raro in opere di polemica storiografica.

Sì, perché il libro è prima di tutto un atto di accusa contro la superficialità e gli stereotipi che attraversano la contemporaneità, di cui la russofobia ne è solo una variante: dall’ideologia dell’antiamericanismo al neoantisemitismo, dall’anticomunismo fino alla dietrologia. “La russofobia è uno stato d’animo, non un complotto” sottolinea Mettan.

La Russia del resto è luogo della memoria, del diverso da noi che ci attrae e che vorremo possedere, ma senza volerla conoscere o rispettare. Ci infastidisce perché è da sempre attratta, per non dire innamorata dell’Occidente, di cui sarebbe disposta persino a sposarne le fondamenta ideologiche e giuridiche, ma senza negarsi, senza voler far atto di sottomissione.

Del resto non è questa la vicenda della Russia contemporanea, ci ricorda l’autore, da Gorbacev ad oggi? Non è la storia di un tentativo – non riuscito – di integrare la cultura e la storia russa nell’Occidente?

La russofobia ha anche ovviamente una sua materialità radicata nelle relazioni geopolitiche ed economiche. La russofobia è “anche, e innanzi tutto, una presa di posizione, nell’intento se non di nuocere, per lo mendo di ridurre l’altro in proprio potere. E in questo senso la russofobia è anche razzismo: si tratta di sminuire l’altro per dominarlo meglio. Ed è questo che fa della russofobia un fenomeno proprio dell’Occidente. Procede secondo le stesse categorie che Edward Said ha identificato per l’orientalismo: esagerazione della differenza, affermazione della superiorità occidentale e ricorso a delle griglie di analisi stereotipate”. Non si sarebbe potuto dir meglio. Del resto quando si parla di identità statale, di concetto di proprietà o dell’idea di uguaglianza non dobbiamo dimenticare che in Russia questi elementi hanno accenti spesso molto diversi rispetto a ciò che intendiamo normalmente noi in Occidente: “I russi diffidano, sì, del loro Stato, ma diffidano ancora di più degli stranieri che pretendono di cambiarlo. In Russia… assenza di Stato significa… caos, carestia, guerra civile, invasioni straniere” sostiene Mettan. Un liberale, un marxista o un anarchico occidentale, al contrario, vivono la mancanza di Stato come un momento di liberazione.

L’odio e il rancore antirusso si è sviluppato nei secoli in diverse direzioni. Abbiamo conosciuto una russofobia francese (l’epoca napoleonica) e una britannica ( che esordisce con il “grande gioco” in Asia Centrale). E ovviamente una tedesca (la lotta per “spazio vitale” a est). La russofobia americana le sintetizza tutte conclude l’autore: “È una sintesi dinamica della russofobia democratico-liberale francese e delle russofobie imperialiste inglese e tedesca”. Una russofobia nata tardi, quella made in USA, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, perché neppure la rivoluzione russa in precedenza era riuscita ad alimentare grandi campagne antirusse in America. Ma il fatto che la russofobia americana sia nata tardi, non significa che sia stata meno virulenta.

Il “pericolo rosso” trovò linfa vitale con l’emergere dalla fine degli anni ’40 del XX secolo della categoria di “totalitarismo” che successivamente diventerà una chiave interpretativa molto abusata per comprendere le dittature europee del Novecento, con la campagna maccartista durante la “guerra fredda”, con la campagna sul dissenso in URSS al declinare “distensione” negli anni’ 70, e tornerà in auge in epoca reaganiana quando l’URSS assurgerà a “impero del male”.

Se si può appuntare un limite al libro, è quello di operare forse troppo spesso, una comparazione tra le accuse che si muovono alla Russia e i limiti, le deficienze e gli orrori del “mondo occidentale”. Ma la scommessa di Mettan è complessivamente vinta e il libro merita di esser letto.

 

intervista

Giovanni Savino è docente di Storia contemporanea all’Istituto di scienze sociali dell’Accademia Russa dell’economia nazionale e del servizio pubblico di Mosca. Ha pubblicato Che dire? Appunti sulla storiografia italiana sul 1917 in Zapruder, il capitolo From Evola to Dugin: The Neo-Eurasianist Connection in Italy in M.Laruelle (ed.) Eurasianism and the European Far-Right: Reshaping the Europe–Russia Relationship e La Russia ostaggio del nazionalismo in MicroMega. Ora è impegnato in una ricerca sulla guerra civile russa e la politica dei Bianchi e uno studio sul nazionalismo russo d’inizio Novecento.

Professor Savino, quali sono secondo lei caratteri generali della russofobia?

La russofobia presenta categorie simili ad altri tipi di xenofobia, e vede i suoi principali caratteri in una rappresentazione dei russi e della Russia come minacciose entità. Credo siano esistiti tipi diversi di rappresentazioni della Russia di questo tipo, connesse di certo alla politica estera di Pietroburgo e poi di Mosca, percepita come aggressiva e tendente all’intrigo. Il testamento di Pietro il Grande, falso coniato dal generale polacco Michal Sokolniki ad esempio descrive molto bene questo tipo di paure e di pulsioni, attribuendo all’imperatore mire egemoniche e destabilizzatrici in Europa. Iver B. Neumann, nel suo lavoro Uses of the Other: “The East” in European Identity Formation, sottolinea come in realtà la Russia sia vista come europea (tranne alcune eccezioni), ma al limite dell’identità del Vecchio Continente. Non concordo con Mettan quando vede le radici della russofobia nell’età di Carlo Magno: prima di tutto, non possiamo, nonostante le narrazioni correnti, vedere nell’VIII e nel IX secolo la “Russia” e l’occidente, che non solo non esistevano come entità statuali e nazionali, ma nemmeno come concetti; Neumann nota che la discussione sull’appartenenza della Russia all’Europa risale ai tempi di Ivan il Terribile e ai resoconti dei mercanti sulle vicissitudini del suo regno. Pio II, includeva la Russia nella famiglia europea, perché cristiana, quindi le radici della russofobia son da ricercarsi in altri momenti storici: l’ascesa dell’impero nel XVIII secolo e l’età napoleonica, anche qui con dovute distinzioni.

Credo esista un elemento molto importante nella russofobia, ed è l’identificazione della struttura politica e statale con la popolazione russa, senza tener conto delle differenze presenti in essa, ad iniziare dal punto di vista etnico (non esiste un termine italiano per descrivere l’aggettivo rossijskij) e finendo alle appartenenze politiche.

Secondo lei si può combattere la russofobia?

A me sembra che negli ultimi tempi Mosca sia diventata la ragione, di tutti i “mali” dell’occidente: si veda il dibattito sulle elezioni americane, e il tentativo di vedere la longa manus del Cremlino nelle vicende europee – come il caso catalano, o la Brexit. Esistono contatti tra importanti esponenti del blocco nazional-clericale e i partiti di estrema destra. Bisognerebbe trattare la russofobia come altri tipi di fobia presenti nella società contemporanea, senza però incorrere nell’errore speculare di vedere ogni tipo di critica verso la politica di Mosca come una sorta di xenofobia mascherata.

È esistita una russofobia italiana? Ed esiste ancora oggi?

L’Italia ha una lunga tradizione di buoni rapporti con la Russia, quindi non esiste una tradizione russofoba, come quella inaugurata in Francia dal marchese de Custine nel XIX secolo. La russofobia italiana è connessa storicamente all’anticomunismo, e ha le sue radici nell’avanzata fascista degli anni Venti, seguita poi dai Comitati civici di Gedda e dall’atlantismo della DC e del MSI. Al tempo stesso però sono esistiti tentativi di rappresentare un’altra Russia, conservatrice, cristiana o zarista (si veda ad esempio quanto fatto negli anni Sessanta e Settanta da associazioni quali Russia cristiana, in area CL, o da organizzazioni del neofascismo italiano come Europa Civiltà), o del dissenso tout court. L’immagine dei cavalli dei cosacchi che si abbeverano nelle fontane romane è legata quindi alla Guerra Fredda, ed è da notare anche una certa continuità tra propaganda fascista antisovietica e democristiana. A me sembra che alcuni maldestri tentativi di ricercare tracce di interferenze del Cremlino nella politica italiana possa dare il la a una crescita della russofobia. Ma esiste anche un altro rischio, che è quello della mitizzazione della “Russia di Putin” da parte dell’estrema destra, spesso basata su elementi falsi (“Putin non fa aprire le moschee” – a Mosca è stata inaugurata qualche anno fa, alla presenza del presidente, il più grande luogo di culto islamico in Europa), il quale può produrre una reazione antirussa.

Anche nel libro di Mettan si è poco parlato della russofobia antisovietica e anticomunista. Cosa ci può dire a proposito? 

Non so se sia stata una scelta dell’autore o meno, ma è strano vedere come la russofobia antisovietica sia citata solo nel capitolo sulla Germania, e, mi sia permesso di aggiungere, la formazione dell’Esercito di liberazione russo, Roa, agli ordini del generale Vlasov, non rispondeva esattamente alla russofobia. Nel libro, che complessivamente è interessante nella sua esposizione divulgativa, si ignora anche la russofobia dei conservatori europei, forse fermandosi a una concezione della Russia come salvezza e ristabilimento dell’ancién regime, formulata per la prima volta da Joseph de Maistre. Eppure è proprio la Guerra fredda a diffondere elementi russofobi con grande veemenza, e sarebbe stato utile a tal proposito una discussione in merito, che ha delle ripercussioni importanti ancora oggi. La polemica sulle interferenze del Cremlino nelle elezioni americane risente degli schemi antisovietici, ed anche quando si discute del futuro della Russia, c’è sempre la sensazione di un paese che debba fare i compiti per entrare nel consesso della civile Europa.