Sono passati quasi 35 anni dalla catastrofe nucleare di Chernobyl, ma la contaminazione radioattiva continua a segnare la vita delle popolazioni più direttamente coinvolte. Uno studio, condotto dal Greenpeace Research Laboratories presso l’Università di Exeter (Regno Unito) e pubblicato sulla rivista Environment International, mostra che i cereali e il legname provenienti dalle aree in cui si trova l’ex centrale presentano elevati livelli di sostanze radioattive.

I RICERCATORI, in collaborazione con l’Istituto ucraino di radiologia, hanno esaminato 116 campioni di cereali (grano, orzo, avena, segale) raccolti tra il 2011 e il 2019 in 13 località del distretto di Ivankiv (Ucraina), che si trova a 50 km a sud di Chernobyl. Si tratta di piante coltivate al di fuori della «zona di esclusione», un’area compresa in un raggio di trenta chilometri dall’ex centrale e in cui, secondo gli scienziati, non sarà possibile alcuna attività umana per i prossimi 3 mila anni.

QUELLO CHE EMERGE E’ CHE ANCHE all’esterno dell’area preclusa alle produzioni agricole si registrano alti livelli di contaminazione del suolo e delle piante. Risulta che il 48% dei campioni di cereali analizzati presentano una concentrazione di isotopi radioattivi superiore ai limiti di sicurezza fissati dal governo ucraino. La concentrazione media di radioattività ha superato i limiti consentiti per quattro dei nove anni presi in esame, senza manifestare una tendenza a decrescere. Sono il cesio-137 e lo stronzio-90 a essere presenti a livelli superiori a quanto è consentito per il consumo umano. A preoccupare è, soprattutto, lo stronzio-90 che è presente nel terreno in forma biodisponibile, accessibile alle piante, trasferendosi ai cereali con grande facilità ed elevate concentrazioni.

I VALORI RILEVATI SONO TRE VOLTE superiori a quanto stabilito dall’Agenzia internazionale per l’energia nucleare. I cereali sono la base dell’alimentazione per tutta la popolazione dell’area, con l’Ucraina e la Bielorussia che rappresentano storicamente i granai d’Europa. Secondo Iryna Labunka, che opera presso l’Università di Exeter, la contaminazione dei cereali rimane motivo di grande preoccupazione ed è necessario portare avanti ulteriori indagini per valutare gli effetti delle sostanze radioattive che restano per lo più ancora sconosciute.

LO STUDIO HA PRESO in esame anche i campioni di legno che erano stati prelevati tra il 2015 e il 2019 nei boschi di 12 località dello stesso distretto. Anche in questo caso il 75% dei campioni presenta una concentrazione di stronzio-90 al di sopra dei limiti fissati per la legna da ardere. La legna contaminata viene utilizzata dalla popolazione per uso energetico, liberando nell’aria particelle radioattive. Inoltre, il largo impiego delle ceneri nei terreni agricoli come fertilizzante aggrava la contaminazione del suolo. In un campione di cenere sono stati riscontrati valori di stronzio-90 superiori di 25 volte rispetto ad altri campioni che già superavano i limiti di contaminazione. Il legname viene impiegato anche al di fuori della zona di produzione anche per la preparazione di pellet, diffondendo il suo carico di radiazioni. La contaminazione dei terreni agricoli e delle aree boschive pone, di conseguenza, seri problemi dal punto di vista alimentare e nell’impiego del legname

VALERY KASHPAROV, DIRETTORE dell’Istiuto ucraino di radiologia, sostiene la necessità di «ripristinare i programmi di monitoraggio ambientale e alimentare per valutare la contaminazione radioattiva delle ceneri, fornendo alla popolazione indicazioni sulla loro manipolazione e istituendo un servizio di smaltimento centralizzato». Il governo ucraino è il destinatario di questo appello per avere interrotto dopo il 2013 il monitoraggio dei prodotti contenenti stronzio radioattivo. In uno studio del 2016, presentato sempre da Greenpeace, era stata messa in evidenza che, a distanza di 30 anni, si rilevava la presenza di cesio-137 nel latte delle mucche allevate nella regione di Chernobyl, con valori fino a cinque volte più alti rispetto ai limiti considerati tollerabili. Il cesio-137 ha un tempo di dimezzamento di circa 30 anni e il deposito nel suolo delle particelle radioattive produrrà effetti sugli alimenti ancora per decenni.

NELLO STESSO REPORT DEL 2016 si affermava: «L’Ucraina non ha i fondi sufficienti per finanziare programmi di protezione della popolazione. Le difficoltà economiche del paese impediscono le attività di monitoraggio nelle aree dove si sono maggiormente accumulate le sostanze radioattive e dove vivono 5 milioni di persone, con i bambini nati dopo più di 30 anni dalla catastrofe che continuano a bere latte contaminato dalle radiazioni». Gli studi hanno consentito di comprendere che sono gli alimenti di origine animale (latte e carne) a contribuire maggiormente, con oltre il 30%, all’accumulo del cesio radioattivo nell’organismo umano. L’elevata concentrazione di radionuclidi nei foraggi è alla base di questo processo.

DOPO L’INCENDIO DELLA CENTRALE nucleare, più di un milione e mezzo di ettari di terreno a destinazione agricola sono stati contaminati, una vasta area in cui si sono creati «depositi radioattivi» che «nutrono» le radici delle piante. La catena terreno-piante-animali si ripercuote sull’alimentazione umana e influisce sull’assorbimento delle sostanze radioattive. Si stanno studiando e sono state messe in atto tecniche di coltivazione che riducono l’assorbimento di radionuclidi da parte delle piante.

ANCHE GLI ANIMALI SELVATICI RISULTANO contaminati nelle aree più esposte, in particolare i cinghiali che per le loro abitudini alimentari accumulano sostanze radioattive nelle loro carni. Uno studio effettuato dalle autorità sanitarie della Svizzera calcola che il 4-5% dei cinghiali presenti sul territorio europeo abbia valori di cesio-137 fino a otto volte il livello consentito. Che la situazione ambientale e sanitaria sia ancora preoccupante l’hanno mostrato anche gli incendi che nell’aprile 2020 hanno devastato i boschi intorno a Chernobyl. La combustione delle piante, che hanno assorbito in questi anni elevate quantità di sostanze radioattive, ha fatto registrare nelle zone colpite un innalzamento delle radiazioni di 16 volte oltre i limiti considerati tollerabili.

LE AUTORITA’ UCRAINE, DOPO CHE FUMO e ceneri radioattive avevano raggiunto Kiev, hanno minimizzato i rischi, sostenendo che «le concentrazioni di cesio-137 al di fuori dell’area colpita erano rimaste entro valori di sicurezza». Secondo gli studiosi, il rischio di incendio dei boschi è notevolmente aumentato come conseguenza della contaminazione radioattiva che ha alterato anche il ciclo biologico dei microbi, rallentando la loro attività di decomposizione delle foglie secche. Il lavoro di ricerca e i rilievi effettuali nel settore della radiobiologia su piante e animali vanno avanti per comprendere i complessi processi che si sono innescati dopo quel disastro.