Finite le feste, la situazione catalana ricomincia a occupare le pagine dei giornali. Il sentimento più diffuso è la preoccupazione. La maggioranza indipendentista (in seggi, ricordiamo: non in voti) ha iniziato le prime mosse, ma non ha ancora chiarito il punto chiave: chi sarà il nuovo President?

Nella prima seduta del nuovo Parlament catalano a gennaio dovrà essere eletto il nuovo ufficio di presidenza della camera. In cui ancora una volta avranno la maggioranza gli indipendentisti. I posti a disposizione sono sette: in quella uscente, la coalizione Junts pel Sí (che univa Esquerra Republicana con quella che oggi è Junts per Catalunya, il partito dell’ex presidente Puigdemont) ne occupavano quattro, inclusa la presidenza (Carme Forcadell); uno ciascuno per Ciudadanos, socialisti e Catalunya sí que es pot (spazio oggi occupato da En comú – Podem, il partito di Ada Colau e Xavi Domènech).

In questa nuova camera, gli equilibri cambieranno, e Ciudadanos (primo partito), Esquerra e JxC ne avranno due ciascuno, e uno sarà per i socialisti. Ancora una volta, gli indipendentisti avranno quattro voti contro tre, e probabilmente ancora una volta la presidenza. Da questo dipenderanno due delle prime decisioni più importanti.

La prima: a chi la nuova presidente (che verosimilmente sarà di nuovo Forcadell) affiderà l’incarico di formare un governo e la seconda è come gestire gli otto seggi che rimarranno vacanti, i tre incarcerati e i cinque ex ministri che sono in Belgio, fra i quali Puigdemont. Dai criteri che stabiliranno dipenderà infatti se questi deputati potranno delegare il proprio voto.

Se così non fosse, e se – per il peso specifico delle persone coinvolte (il capo di JxC Puigdemont e il capo di Esquerra, Oriol Junqueras) – non dovessero rinunciare al seggio, facendo scorrere la lista, la maggioranza indipendentista sarebbe in pericolo.

Dei 70 seggi ne rimarrebbero solo 62, contro i 65 di Ciudadanos, socialisti, popolari e En comú – Podem. Il che, anche tecnicamente, renderebbe la vita parlamentare un gran problema per la maggioranza. Inés Arrimadas di Ciudadanos ha deciso di attendere e di non cercare di formare un governo, per ora.

Intanto, l’ultimo atto del parlamento uscente ieri è stato, finalmente, di ricorrere al tribunale costituzionale contro l’applicazione del 155 per scioglierlo: il ricorso si aggiunge a quello del 4 dicembre promosso da Podemos e alleati.

Lo stallo attuale è importante: Puigdemont continua a chiedere in tutte le lingue al governo spagnolo di lasciarlo rientrare (su di lui pende un ordine di arresto) ma non è chiaro neppure, qualora il governo volesse aprire uno spiraglio (impensabile), come potrebbe farlo, dato che l’ordine formalmente è di un giudice, non del governo.

Intanto la giustizia spagnola continua implacabile a gettare benzina sul fuoco: ieri sono stati arrestati due consiglieri comunali di Reus della Cup per non essersi presentati davanti al giudice che li accusava per gli attacchi alla polizia schierata per il dispositivo del primo ottobre.

Un dispositivo problematico, e che in teoria sabato dovrebbe essere ritirato, come previsto da tempo. Ma ieri persino un esponente catalano del Pp, che si è dimesso, ha criticato quello che è successo il primo ottobre e chiesto responsabilità a chi non ha avuto scrupoli a mandare la polizia a manganellare vecchi e bambini la cui unica colpa era quella di introdurre un pezzo di carta in un’urna senza valore.

A rompere, tra il serio e il faceto, la monotonia dello scontro fra indipendentisti e non indipendentisti è una proposta nata quasi per scherzo anni fa da una piattaforma chiamata Barcelona is not Catalonia (che fa il verso a Catalonia is not Spain degli indipendentisti) ma che dopo i risultati delle elezioni e grazie a Twitter ha avuto un boom: la proposta di separare una regione fra Tarragona e Barcellona, battezzata Tabarnia e a maggioranza non indipendentista, dal resto della Catalogna rurale, il cui voto indipendentista è gonfiato dalla legge elettorale.