Il governo catalano si è rotto. Come ormai evidente da varie settimane, la coalizione fra Esquerra Republicana, che esprime il presidente Pere Aragonés, e gli eredi del catalanismo conservatore, Junts per Catalunya, non esiste più. Poco meno di 5.000 militanti del partito guidato dalla ex presidente del parlamento catalano Laura Borrás (delfina dell’ex presidente e ora europarlamentare Carles Puigdemont) hanno votato a maggioranza (55%) l’uscita del partito dal governo catalano. I risultati sono stati resi noti venerdì in serata e poche ore dopo i sei ministri-consiglieri del partito che ancora rimanevano nel governo (dopo la cacciata del vicepresidente) hanno informato Aragonés della loro uscita dal governo. Fra loro anche il responsabile della manovra economica 2023, Jaume Giró, che aveva già preparato il testo della legge finanziaria catalana.

Il primo capo dell’esecutivo catalano di Esquerra Republicana, alla guida della Generalitat da febbraio dell’anno scorso, ha da subito chiarito che non avrebbe convocato elezioni, ma puntato su un governo monocolore alla ricerca di appoggi parlamentari per ogni provvedimento. Ieri è stata anche ventilata la possibilità che non sia approvata la finanziaria e che la Catalogna si limiti a prorogare, come permette la legge, i conti di quest’anno. Non sarebbe una prova di forza per Aragonés, ma un modo per mettere in chiaro che non molla, almeno fino alle elezioni amministrative di maggio (che non coinvolgono il suo governo). Non è esclusa la possibilità che Junts appoggi comunque questa legge che era stata preparata proprio dal suo conseller Girò: in assenza di quello della Cup, che ha rotto da tempo con gli ex soci indipendentisti, l’appoggio esterno del partito dei Comuns di Ada Colau, guidati in Parlament da Jessica Albiach, era comunque in fase di negoziato.

Ma esiste anche una terza via: i socialisti in Parlament hanno lo stesso numero di seggi che Esquerra (e uno in più di Junts). Da sempre Albiach chiede di mettere in piedi un’alleanza di sinistra che rompa l’asse indipendentisti contro non indipendentisti. I tre partiti già collaborano in modo diverso al comune di Barcellona (dove Esquerra appoggia esternamente la coalizione Comuns-socialisti) e a Madrid (con Esquerra che è il principale alleato del governo rosso-viola di Sánchez). Lo stesso Sánchez, preoccupato per l’approvazione della sua finanziaria, ha già lanciato segnali di pace verso Aragonés e il capofila socialista al Parlament di Barcellona, Salvador Illa, ha teso la mano ad Aragonés, pur senza sbilanciarsi. Ma il leader máximo di Esquerra, Oriol Junqueras, ha messo il veto sui socialisti: proprio ieri lo ha ricordato alla riunione del suo partito che «è evidente che i socialisti non sono impegnati nella fine della repressione».

Ma sono solo parole per non lasciare sguarnito il fronte indipendentista, cosa di cui vorrebbe approfittare Junts: tutti in Esquerra sanno che il futuro di Aragonés passa per un accordo esplicito o implicito con i socialisti, che hanno anche l’opportunità di recuperare posizioni elettorali. «A partire da oggi si apre una nuova opportunità di far partire una maggioranza progressista», ha scritto Albiach sulle reti sociali.

I nuovi equilibri alla Generalitat avranno conseguenze anche per il palazzo dirimpettaio, quello del comune di Barcellona. Ada Colau si presenterà a un terzo mandato, ma non è ancora chiaro se il suo principale avversario sarà l’ex sindaco Xavier Trias, di Junts, o un candidato di Esquerra forte. L’uscita di Junts dal governo è forse il segnale dell’inizio di una nuova stagione politica dove le diverse sinistre catalane potrebbero tornare a governare insieme. E la fine del procés indipendentista.