Con Putin volato all’alba a Kemerovo per portare le proprie condoglianze alle vittime del rogo di domenica (ma anche a sedare scintille di rivolta della popolazione contro il suo governatore) ieri è toccato a Sergey Lavrov, il capo della diplomazia russa, intervenire nuovamente sulla messe di espulsioni di diplomatici russi legate al caso Skripal.

DOPO AVER CONFERMATO che a breve ci saranno delle ritorsioni per quanto è avvenuto, Lavrov ha affermato: «Purtroppo eravamo stati facili profeti nel sottolineare quanto pochi siano ormai i paesi indipendenti nel mondo di oggi e in Europa in particolare».

Prova ne sarebbe il fatto che nelle ultime ore alcuni diplomatici stranieri si sarebbero fatti sentire al Cremlino per scusarsi per la decisione presa.

Secondo Lavrov ancora una volta gli europei si sarebbero genuflessi all’alleato americano: «Queste misure sono il risultato di una pressione enorme, di un gigantesco ricatto» organizzato dagli Stati uniti e dalla Gran Bretagna. E per spiegare quanto sta avvenendo ha fatto un curioso riferimento alla situazione in Palestina. Così come si è sostenuto di «non voler dare soldi ai palestinesi fino a che questi non accetteranno idee che non sono state ancora formulate», e cioè «acquisti alla cieca» allo stesso modo si è preteso che gli alleati «acquistassero alla cieca le conclusioni di Theresa May sul caso Skripal, le quali tra l’altro offendono lo steso sistema giudiziario anglosassone».

Mostrando poi un sondaggio promosso dal giornale tedesco Welt secondo cui l’80% dei tedeschi sarebbe contraria alla imposizione di nuovi sanzioni contro la Russia, il ministro si è detto convinto che tutto ciò «rifletta anche la volontà delle élite dominanti di non ascoltare la voce della gente».

UNA FRECCIATA indirizzata all’Unione europea che ha affrontato la questione delle espulsioni in ordine sparso. Del resto a Mosca per il momento piangono con un occhio solo. «Se è vero – commentava ieri la Izevestya giornale tradizionalmente filo-governativo – che è stata la più grande espulsione della storia di diplomatici russi, non si ricordano però neppure così tante divisioni della Ue su una questione di politica estera».

IERI LA FINLANDIA si è sfilata dichiarando che «quanto sostenuto dai mass-media sulle espulsioni dal nostro paese non corrisponde al vero».

Ed è anche significativo che gli unici due governi di sinistra oggi in Europa, la Grecia e il Portogallo, abbiano resistito alle pressioni che provenivano da Bruxelles. «Ho sottolineato che dobbiamo essere risoluti sulla materia delle armi chimiche – ha dichiarato Alexis Tsipras – ma allo stesso tempo, ho sottolineato la necessità di mantenere sempre canali di dialogo con la Russia, dobbiamo lasciare una finestra aperta e completare le indagini dell’organizzazione competente». Secondo il primo ministro greco «si deve rompere con la logica delle guerra fredda».
Forse per questo l’asse anglosassone in queste ore ha grattato il fondo del barile delle adesioni. La Nato ha deciso di espellere sette funzionari russi dei 20 presenti a Bruxelles. RISPEDIRANNO

A MOSCA alcuni funzionari l’Australia e la fino all’ultimo recalcitrante Ungheria. Da segnalare la peculiare posizione della Moldavia vista la coabitazione ai vertici dello Stato.
Mentre il governo di centro-destra decideva di rimandare a casa 3 funzionari russi il capo di Stato Igor Dodon socialista parlava di scelta provocatoria. «Avendo la Gran Bretagna lasciato l’Unione Europea a cui il nostro paese è associato, non abbiamo alcun vincolo di solidarietà con il suo governo« ha dichiarato il presidente moldavo.