Sul manifesto dell’11febbraio scorso Stefano Fassina evidenzia i punti di contatto tra i contenuti della lista dell’«Altra Europa» per Tsipras e la minoranza del Pd o almeno di una parte di essa che è consapevole dell’insensatezza delle politiche (liberiste) di austerità e del «pareggio di bilancio» che hanno alla base la svalorizzazione del lavoro, la salvaguardia dei mercati e dei grandi patrimoni finanziari, la perpetuazione delle diseguaglianze sociali.

Come ammette lo stesso Fassina, queste politiche sono quelle seguite anche dalla parte maggioritaria dei partiti aderenti al Pse -quando al governo- nel segno di una subalternità politica e culturale, nel mito della «responsabilità nazionale» -definizione nobile per l’asservimento agli interessi dominanti- che produce le «larghe intese» come modello di governo che sacrifica la rappresentanza sociale erode la democrazia rappresentativa. E qui c’è un primo problema per chi fuori del Pd pensa che il Pse sia -ora, in questo momento- l’approdo di una sinistra radicale che opponendosi al fiscal compact e alle politiche liberiste troverebbe poi in quella che dovrebbe essere la «casa comune» i propugnatori convinti di quelle politiche nefaste e antipopolari. Meglio, come suggerisce anche Fassina, prospettare un terreno di confronto, di battaglia culturale e politica, tra chi -con posizioni ed identità diverse- lavora per il superamento di queste politiche sbagliate.

La lista per l’«Altra Europa» ha il merito anche di riaprire un dibattito a sinistra e -come vediamo dall’intervento di Fassina- anche in una parte del Pd, consapevole che bisogna cambiare strada. C’è sempre da chiedersi perché quella stessa parte del Pd che era consapevole di queste contraddizioni, quando ha avuto incarichi di governo si è invece comportata seguendo il decalogo della «responsabilità nazionale» e subendo la subalternità alle politiche di austerità. Gli esempi si potrebbero sprecare: dall’opposizione alla tobin tax allo spreco di 1,6 miliardi per far rientrare il rapporto deficit-pil dal 3,1 al 3,0%, dalle precarizzanti e pubblicitarie (e inesistenti) politiche del lavoro, che si sono limitate, senza riuscirci a impedire lo scivolamento nella povertà assoluta (social card) alle ulteriori liberalizzazioni di beni e servizi pubblici a partire dalla liquidazione degli asset civili di Finmeccanica.

Perché quando si è al governo non si può mai fare quello che si scrive nei documenti e nei programmi? Non sarebbe (stato) meglio non entrarci in quei governi, cioè nel governo Letta? Per realizzare quello che dice Fassina è necessario (e qui manca una riflessione più aperta nel suo intervento) non ricadere più nell’errore delle «larghe intese» che al paradigma dell’austerità sono subalterne.

L’intervento di Fassina sui contenuti è largamente condivisibile e la sua apertura alla lista per l’«Altra Europa» va segnalata positivamente. Ci sono alcuni punti importanti individuati dall’articolo sui quali potremmo lavorare insieme: la golden rule per gli investimenti pubblici e la ristrutturazione dei debiti sovrani, i controlli dei movimenti dei capitali e l’avvio di investimenti europei sulla base di una nuova politica industriale, l’offensiva contro i paradisi fiscali e una nuova regolazione del sistema bancario europeo. E noi aggiungiamo: il superamento del fiscal compact (e abbiamo apprezzato l’astensione di Fassina sulla mozione di Sel contro il fiscal compact, mentre il resto del Pd votava contro), la trasformazione della Bce in prestatore di ultima istanza, un grande piano del lavoro per un New Deal europeo con investimenti pubblici finanziato da project bond, la riduzione delle spese militari in ambito europeo con la cancellazione (anche in Italia) del programma degli F35.

Incontriamoci, confrontiamoci senza reticenze. Intanto un’occasione potrebbe essere il convegno Un’altra strada per l’Europa organizzato per il 19 marzo a Bruxelles dalla campagna Sbilanciamoci e dalla Rete europea degli economisti progressisti cui parteciperanno rappresentanti di Syriza e di Sel, deputatati europei del Pse, dei Verdi, e della Gue ed esponenti di reti di movimento e subito dopo sarebbe utile un incontro plurale e aperto (prima o dopo il voto europeo) con cui avviare quel confronto tra chi -con appartenenze ed identità diverse- pensa che ci sia ancora tempo per salvare il «Titanic Europa» non lasciando indietro nessuno e ricostruire la prospettiva del cambiamento con una inversione di rotta delle politiche europee a partire dalla vittoria, tutta da conquistare, in Europa delle liste ecologiste e di sinistra conto la destra e i populismi.

* Giorgio Airaudo e Giulio Marcon sono parlamentari di Sel

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