Scrive Stefano Fassina che «è positiva l’iniziativa culturale e politica per la lista Tsipras» per le prossime elezioni europee. Una presa di posizione importante, ben diversa da quelle giunte da altre parti del Pd, come il tentativo piuttosto maldestro di Pippo Civati di bollare la lista che si sta formando come un accrocco di reduci frazionisti per fare scattare a proprio vantaggio il solito meccanismo del voto utile. L’altro merito è che Fassina intavola argomenti concreti per un dialogo che può rivelarsi senz’altro utile per dare «vigore politico a un’alternativa europeista per lo sviluppo sostenibile».

Ma dialogo tra chi? Alla fine del suo articolo Fassina fa riferimento a «un confronto senza ambiguità ma costruttivo, pur tra soggetti elettorali in competizione, per iniziative unitarie a Strasburgo, dopo il 25 Maggio, di diversi gruppi parlamentari». Anche qui il chiarimento non è da poco ed evita di intorbidire le acque. Il primo punto è che i soggetti elettorali, la lista Tsipras e quella animata dal Pd, saranno in competizione e conflitto durante la campagna elettorale. Né potrebbe essere diversamente data la loro profonda diversità programmatica. Il secondo chiarimento decisivo è che la possibile convergenza su iniziative comuni, che nessuno può né postulare in anticipo né tantomeno escludere, avverrà tra gruppi parlamentari diversi. Precisazione non da poco conto, sia perché taglia alla radice qualunque ricatto di voto utile (il dialogo si può fare se entrambi i soggetti esistono), sia perché viene accompagnata da un impegno a condurre una battaglia in questo senso in seno al Pd e al Pse.

Vi è quindi una convergenza di toni e in parte di temi con la stessa dichiarazione con cui Alexis Tsipras presenta la sua candidatura a Presidente della Commissione europea, quando fa appello agli elettori del Pse, sottolineando la contraddizione tra le loro aspirazioni e la concreta politica di quest’ultimo, e nello stesso tempo non preconizza una politica isolazionista del gruppo parlamentare europeo che guiderà a Strasburgo.

La discussione può quindi avvenire sul pulito. Alcuni dei temi che Fassina propone non sono diversi dagli stessi su cui si ragionava assieme prima che la nascita del governo Monti determinasse una rottura irreversibile nel centrosinistra di allora. Nel frattempo però la crisi ha scavato ulteriori voragini. La radicalità degli obiettivi non è quindi un vizio estremista, ma una necessità. Per questo motivo il richiamo di Fassina al «Memo per il programma di un governo di svolta», da lui scritto con altri esponenti della tormentata sinistra del Pd, non offre un punto di riferimento valido. Al di là dei tanti aspetti particolari, manca il cuore del problema, che invece è ben chiaro a Tsipras: la revisione dei trattati europei, la cancellazione del fiscal compact, la modificazione radicale del ruolo della Bce, l’individuazione immediata di una sorta di piano Marshall per lo sviluppo dell’occupazione e dell’economia secondo nuovi criteri su scala europea. Se questo non viene posto subito all’ordine del giorno l’Europa e l’euro saranno schiacciati sotto le politiche economiche rigoriste dell’Unione, che più che essere vittima delle crisi lo è delle sue politiche.

I tempi per un pallido riformismo, per qualche correzione di linea o aggiustamento di rotta sono definitivamente finiti. L’implosione dell’Europa è alle porte. E’ vero, Fassina sembra fare un passo avanti rispetto a quello schema programmatico da lui stesso richiamato. Giudica positivamente la proposta di Tsipras di convocare una conferenza europea – sul modello di quella di Londra del 1953 – sulla ristrutturazione e riduzione del debito, questione davvero cruciale. Ma poi confina i provvedimenti più radicali in un futuro e indeterminato piano B che comporterebbe la «rinegoziazione degli impegni sottoscritti», cosa che invece non può aspettare. Qui non si tratta di chiedere a nessuno un’abiura (ad esempio sul fatto che è grazie al Pd che è passato in cavalleria tanto il fiscal compact come il pareggio di bilancio in Costituzione). Dobbiamo fare politica, non praticare vendette. Ma il primo punto del confronto non può prescindere da una valutazione del punto di gravità cui il malato Europa è stato condotto dalle folli terapie praticategli, oltre che dai conservatori, anche dai medici socialdemocratici.