Sui media internazionali rimbalzano gli allarmi sulla carenza globale dei medicinali. L’ondata di Covid in Cina, per esempio, sta svuotando le farmacie anche nei Paesi limitrofi. «Molte persone hanno comprato il paracetamolo per spedirlo ai parenti in Cina, mentre altri ne hanno fatto scorta in vista di prossimi viaggi nel Paese» ha detto alla Cnn Li Chen, una farmacista taiwanese, per spiegare l’improvvisa indisponibilità del farmaco nel suo negozio. Ma anche a migliaia di chilometri da Pechino, le comunità immigrate si organizzano per rifornire i parenti della madrepatria dei tipici farmaci sintomatici utilizzati contro il Covid-19. «Non vogliamo che i nostri familiari debbano andare in ospedale perché le strutture sanitarie cittadine saranno certamente travolte» ha spiegato al network australiano Abc Fan Yi, una dei tanti cinesi emigrati in Australia che oggi fanno incetta di compresse.

LE SEGNALAZIONI di farmaci introvabili arrivano anche in aree lontane dallo tsunami cinese. Nella ricca Germania, dove hanno sede alcune delle maggiori società farmaceutiche al mondo, è diventato difficile trovare prodotti come antibiotici e antifebbrili, oltre a «analgesici, anti-ipertensivi e farmaci oncologici, contro i disturbi gastrici o cardiaci», come ha raccontato a Deutsche Welle Fatih Kanyak, farmacista a Berlino secondo il quale «mancano soprattutto i prodotti destinati ai bambini». Il presidente dell’associazione nazionale dei medici tedeschi Klaus Reinhardt è arrivato a proporre una sorta di «mercato delle pulci» per le medicine, in cui le persone sane cedano i farmaci che hanno in casa a chi ne abbia bisogno. Anche in Francia mancano i medicinali, e sono più o meno sempre gli stessi: paracetamolo e amoxicillina, l’antibiotico più diffuso soprattutto nella stagione invernale quando le malattie di stagione si sovrappongono e aumentano le prescrizioni.

E IN ITALIA? Secondo il registro regolarmente aggiornato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), i prodotti definiti «carenti» sarebbero oltre tremila. «Ma per la stragrande maggioranza di questi prodotti sono disponibili farmaci equivalenti» spiega al manifesto Domenico Di Giorgio, il dirigente dell’Aifa responsabile del monitoraggio. «In realtà i prodotti critici, per i quali è autorizzata l’importazione in mancanza di equivalenti, sono poco più di trecento. E di questi il grosso delle importazioni riguarda una trentina di prodotti. Ma la tendenza all’aumento delle carenze è reale».

Più che la crisi Covid cinese, la spiegazione va cercata in fattori di più lungo periodo che hanno fatto allungare la lista delle carenze, dai 2.500 del giugno 2021 agli oltre tremila attuali. «Con la guerra in Ucraina e le altre tensioni internazionali, i costi della distribuzione sono cresciuti per tutti i settori, compreso quello farmaceutico» dice Di Giorgio. «L’aumento dei costi dei carburanti sta mettendo sotto pressione le filiere e diminuendo i margini per produttori e distributori. Così molte società farmaceutiche dichiarano in anticipo la carenza dei farmaci di cui non possono garantire la disponibilità nei prossimi mesi». Senza un preavviso sufficiente, infatti, le società rischierebbero sanzioni e il clima di incertezza globale moltiplica le comunicazioni di rischio di rottura degli stock. Tuttavia, Di Giorgio smorza i toni allarmistici almeno per quanto riguarda l’Italia. «Ci sono prodotti effettivamente mancanti, come l’amoxicillina in formulazione pediatrica la cui produzione è stata interrotta da un’azienda tedesca» ammette.

«Sulla gestione delle carenze però l’Italia è più avanti di molti altri Paesi. Da un lato, agiamo in prevenzione, preparandoci in anticipo anche per gli scenari più catastrofici. Questo ci ha permesso di affrontare con successo crisi gravissime, come il rischio della mancanza di anestetici e di emoderivati a causa dello scoppio della pandemia. L’Agenzia Europea del Farmaco, che da pochi mesi ha assunto tra i suoi compiti anche la lotta alla carenze farmaceutiche, ha assegnato all’Aifa il ruolo di capofila degli stati membri».

NON TEMIAMO dunque che si interrompano le forniture di materie prime dall’Asia? «L’Italia – riprende Di Giorgio – ha una rete produttiva tra le più forti in Europa a partire dalle materie prime chimico-farmaceutiche sin dai tempi di Giulio Natta, il premio Nobel per la chimica degli anni ‘60. Se per alcuni prodotti specifici, come gli antibiotici, venti o trenta anni fa si è assistito a un processo di delocalizzazione verso l’Asia, negli ultimi anni si sono recuperate quote di mercato. Nel corso della pandemia si è temuto che Cina o India chiudessero le frontiere per le esportazioni, eppure finora non abbiamo avuto riscontri di questo tipo. D’altronde, non sono decisioni che si prendono così facilmente. Se si segnalassero problemi del genere, si può agire a livello continentale con acquisti congiunti, così com’è avvenuto per i vaccini anti-Covid. L’importante è che si proceda in un clima di collaborazione e non di competizione, in cui chi ha più soldi si accaparra tutto il prodotto».

Di Giorgio segnala il rischio delle profezie che si auto-avverano e la funzione dei media. «I titoli allarmistici che leggiamo in questi giorni non aiutano. Se i cittadini leggono che nelle farmacie manca un medicinale, si precipitano in farmacia per fare una scorta. E così il farmaco finisce per scarseggiare davvero».