La riforma dell’ordinamento penitenziario non è stata approvata. Ieri il Consiglio dei Ministri ha lasciato in naftalina le norme sulle misure alternative, sulla sanità penitenziaria e sulla vita interna alle carceri. Il 4 marzo è vicino e una variegata compagnia ha già intascato il primo risultato. Ha vinto Salvini con le sue truci volgarità. Ha vinto Luigi Di Maio che insultava la riforma definendola l’ennesimo svuota-carceri.

Ha vinto chi in Forza Italia ha sposato tesi leghiste. Ha vinto chi nel Governo e nel Partito Democratico era da sempre contrario, soffrendo il percorso riformatore. Ha vinto chi ha spostato l’asse del governo verso posizioni securitarie. Hanno vinto quei sindacati autonomi di polizia penitenziaria che si sono sempre dichiarati contrari a ogni tentativo di umanizzazione della vita penitenziaria e che intendono confinare gli agenti al ruolo di girachiavi e i detenuti al ruolo di camosci.

Hanno vinto soprattutto quei magistrati che hanno detto e fatto di
tutto per bloccare la riforma nel nome della lotta alla mafia. Ha vinto il procuratore di Catania Sebastiano Ardita che da mesi solleva dubbi e resistenze, alcune delle quali espresse nella convention di Casaleggio e amici. Pensa di aver vinto, ma in realtà ha perso, chi pensa che la politica sia tattica, attendismo. Chi pensa che una riforma vada trattata come una partita di calcio, ossia una lunga melina con vittoria ai supplementari quando tutti sono oramai distratti.

Ha perso chi tra i partiti ha riunciato al coraggio delle idee. Non ha perso invece il mondo delle associazioni e di chi lotta per i diritti dei detenuti. È un mondo abituato a combattere. E non si rassegnerà.

Continueremo a chiedere l’approvazione della riforma anche dopo il 4 marzo. Lo faremo anche rispetto a quelle parti della legge delega (ad esempio l’ordinamento penitenziario minorile) che solo ieri hanno fatto il primo passo in avanti. Non sappiamo se mai ce ne sarà un altro.

Continueremo a farlo in quanto oggi le prigioni d’Italia sono regolate da norme vecchie 43 anni. E la loro età si sente tutta. Norme pensate per una tipologia di detenuto nel frattempo profondamente cambiata. Norme scritte quando ad esempio non c’erano gli agenti di Polizia penitenziaria ma il corpo militare degli agenti di custodia. E’ un attimo che la crescita quantitativa dei detenuti sia tale da tornare ai numeri che hanno portato alla condanna da parte dei giudici di
Strasburgo.

Una condanna che ha portato alcune novità nel sistema penitenziario italiano che fortunatamente reggeranno agli scossoni elettorali. Tra le più importanti vi è l’istituzione del Garante nazionale delle persone private della libertà.

Dunque quel percorso avviato con determinazione dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano con il suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre 2013 e proseguito con gli Stati Generali voluti dal Ministro Orlando si è scontrato con la paura di perdere consenso su un tema ostico. La paura però fa commettere errori gravi. A dieci giorni dal voto il mondo progressista, laico e cattolico, avrebbe apprezzato il coraggio della riforma mancata.